domenica 6 luglio 2008

Sulla completezza dell'arte

Credo e spero di aver capito quanto l’amico Broncobilly voglia dire, nelle sue riflessioni sull’arte. Ne colgo le buone intenzioni e, tutto sommato, condivido gli intenti. Tuttavia continuo a vederla diversamente. Non sono completamente d’accordo nell’impostazione degli 8 punti, pur ammettendo che non l’ho meditata abbastanza da esprimere un mio parere definitivo.

Vorrei a questo punto trarre qualche conclusione dalla discussione che ne è seguita. Di fatto non credo che l’arte debba ambire alla completezza. E’ un ideale che trovo velleitario, utopistico e, quello che è peggio, inutile. Non fosse altro che perché è in ogni singola opera che si dà la patente di “arte”. Se anche un artista possa lecitamente ambire alla completezza, se anche qualche artista - credo - la raggiunga, difficilmente possiamo credere che ogni singola opera di ogni singolo artista rappresenti il Tutto. Prendiamo per esempio un quadro che mi ha folgorato completamente quando mi ci sono trovato davanti al Prado, Las Meninas del Velasquez.



Non so giustificare perché, ma poche volte un dipinto mi ha sconvolto come quello. Bronco concorderà che contiene molto, tra cui quegli elementi che nega appartenere a Bach, che nasce una trentina d’anni dopo quel quadro. Forse c’è quasi tutto, in quel quadro, ma c’è davvero tutto? Tutta l'umanità è raffigurata in quel quadro? Tutto il trascendente? Non credo.

Mettiamo in discussione, a questo punto, la prop4. La singola opera d’arte non può essere completa, non può ambire a rappresentare il Tutto come suo oggetto e soggetto. L’infinito non può stare nel finito (anche se concordo che l’arte debba necessariamente trascendere, portare il fruitore oltre la sua finitezza) né, se lo scopo dell’arte è la ricerca del “bello” (e io credo di sì, purtroppo tantissimi dissentono, l’estetica di Adorno ha ancora oggi parecchi adepti), la completezza è utile ai fini della bellezza. Però, se sostituiamo totalità con universalità, allora forse ci siamo.

L’universalità è una necessità per l’arte sotto diversi aspetti. Universalità di spazio, di tempo, di livello di comunicazione. Deve comunicare qualcosa (non necessariamente un messaggio politico, mi accontenterei di emozioni, sensazioni, interpretazioni puramente estatiche) al “tecnico” tagliato come al bambino eschimese che si trova davanti per la prima volta senza possedere alcuna chiave per decifrarne il linguaggio, o possedendone solo i rudimenti. Purtroppo troppa supposta arte del Novecento ha fallito sotto questo aspetto. Comunica qualcosa solo a chi è in grado di coglierne riferimenti, allusioni, contesto, sottintesi, mirando a trasmettere un messaggio, quasi sempre provocatorio, anziché un’emozione.

Bach è universale, anche nell’Arte della fuga. Il Pierrot lunaire forse lo è un po’ meno. Molto meno lo è anche Vasco Rossi, che soddisfa i palati più facili ma lascia parecchia arsura nella bocca del musicista. Non nego che anche un musicista possa avere reazioni emotive di fronte a Vasco Rossi (non credo proprio, ma non lo nego del tutto). Insomma, a me piace ascoltare il brit pop degli anni ’80, vado matto per And that's no lie degli Heaven 17.

Non la considero però Arte, poiché sono troppi i “livelli” che mancano in quella musica. Soddisfa solo gli istinti più bassi, sia dal punto di vista musicale che dal quello testuale. Ciò che spesso oggi viene chiamata arte o cultura, è in realtà solo una pseudoarte. Non credo che l'Arte possa essere creata da persone che non abbiano una preparazione tecnica di livello elevatissimo (premessa necessaria ma non sufficiente). La pseudoarte imperversa ai cinema, sugli scaffali delle librerie, nei negozi di dischi, in televisione, su internet. E' lecitissima, io ne fruisco a piene mani, mi diletta. Ne colgo però tutti i limiti, ci sono corde che non tocca minimamente, non comunica ai “piani alti”. Allora, se la totalità cui fa riferimento la quarta proposizione di Bronco è questa, sottoscrivo quell’affermazione. Ma a questo punto non capisco come possa negare questa completezza a Bach.

Mi prendo ora la briga di copiare l’amato Pontiggia di Prima persona.


Arte e provocazione - Un quadro bianco, quando lo dipingeva Piero Manzoni, era una provocazione (e anche un quadro). Ventidue quadri bianchi erano una mostra (ricordo quando l’avevo visitata con lui che mi spiegava, ridendo con serietà, che cosa significavano i titoli, ad esempio La sofferenza di Patroclo, in rapporto alle tele). Ma due mostre di quadri bianchi che cosa sono? E sette mostre?
Molta arte di avanguardia si elide per contiguità. Basta radunarla. Non accade lo stesso per il Quattrocento toscano.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Sì, la “completezza” non è una condizione necessaria per essere grandi.

C’ è anche qualcosa che potrei chiamare “profondità” che conta.

Uno può anche non estendere i suoi orizzonti, non avere epigoni, ed essere grandissimo.

Detto questo, un artista completo quasi sempre è anche grande.
Facciamo qualche esempio.

Prendiamo la letteratura: Dante e Shakespeare sono abbastanza completi, la loro gamma è molto vasta. E sono anche dei grandi.

Prendiamo la pittura, Velasquez mi sembra un buon esempio, in lui c’ è sia grandezza che completezza.

Il Seicento, per l’ arte, è il secolo degli artisti completi: Rembrandt è artista completo, in lui c’ è una vera fusione tra la rappresentazione dell’ umano e la rappresentazione del divino, ed è senz’ altro un vertice se non il vertice assoluto di quell’ arte (qui mi accodo a Gombrich).

Prendiamo la musica, il già menzionato Mendelssohn mi sembra che crei delle buone sintesi. Beethoven lo trovo avventuroso in avanti (gli ultimi quartetti) ma anche ben ancorato alla tradizione (è una buona sintesi). Mi sembra completo Strauss (Richard., ovviamente). Persino Wagner trovo che coniughi aspetti differenti spingendo oltre delle tendenze che ereditava. Parliamo del Novecento: Bartok, Berg, Berio, sono esempi di artisti abbastanza completi.

Ho menzionato tutti artisti che sono anche grandi.

Che la completezza non sia tutto lo constato continuamente dalle mie preferenze: tra Bach e Beethoven., dalla torre butto il secondo. Mi sembra che nella mia epoca gli elementi su cui si concentra il primo siano più rari e preziosi. Paradossalmente l’ ultimo Beet ha lasciato così tanti nipotini che rendono lui meno indispensabile.

Altri esempi: Berg è senz’ altro più “completo di Webern, eppure io, insieme ad intere generazioni, ho sempre consegnato la palma al secondo. Solo recentemente mi sono ravveduto.

I Beatles superano per completezza i Rolling Stones ma il primato dei primi sui secondi non è certo scontato.

Un’ esperienza personale: tra gli amici/nemici Zappa e Captain Beefheart, il primo è un genio proteiforme estremamente dotato in tutti i campi, il secondo è un genio mono-maniacale. Io ho consegnato il mio cuore a Beefheart dal primo ascolto.

Berio è molto più completo di Donatoni. Ma a volte questa completezza sbiadisce lo stile personale. Sarà per questo che io preferivo il secondo.

A proposito, ecco un danno che la ricerca artificiosa di completezza porta con sé: l’ eclettismo.

Veniamo ora alla prop4, il mio post era molto sintetico e ti ringrazio per la possibilità che mi dai di precisare.

La prop4 riguardava l’ oggetto dell’ arte definito in contrapposizione a quello della scienza.

La scienza si occupa unicamente del mondo materiale e delle leggi che regolano il comportamento dei corpi.

L’ arte si occupa di Tutto.

Ovvero, sia del mondo materiale (è l’ aspetto più formale e materico) che del mondo prettamente spirituale, dei sentimenti, della psicologia.

In fondo, la prop4 mi serve per criticare il mero formalismo, che giudica l’ opera solo come un oggetto architettonico, così come il mero idealismo, che vede nell’ opera solo l’ interiorità dell’ artista.

L’ arte si occupa di Tutto in questo senso, dell’ intera realtà umana, sia quella materiale che quella formale e interiore.

Ne segue che sono d’ accordo con te per quanto riguarda la necessità del “bello” e anche sul fatto che l’ arte debba “comunicare”, ovvero, debba avere un contenuto.

Forse sono d’ accordo anche sull’ universalità. Però, attenzione, faccio valere l’ avvertenza della prop7: certo, l’ arte deve comunicare, ma si inserisce anche all’ interno di una tradizione, i suoi significati si presentano al meglio a chi conosce l’ alfabeto di quella tradizione. Anche un’ arte “ribelle” richiede che sia conosciuto l’ oggetto contro cui si ribella.

Consentimi di lasciare da parte, per ora, tutta la diatriba sull’ oggettività del “bello”. ciao

davidthegray ha detto...

Beh, con tutto questo precisare alla fine mi sa che, come spesso accade, si scopre che siamo abbastanza vicini nelle conclusioni. Conclusioni sempre provvisorie, com'è ovvio, in queste cose. Ho voluto scavare perché mi hai toccato il mio Mostro Sacro n.1, JSB. Continuo a ritenerlo del tutto completo, forse il più completo dei geni che hanno calpestato questo pianeta nella storia. Ben ancorato a terra, nessun altro ci ha fatto immergere nel divino come lui.
Tornando alla questione centrale della discussione, ho ancora un punto che secondo me va chiarito. Quando parli di completezza, anche tenendo conto degli esempi che fai ora, la riferisci all'artista, non all'opera. Nella mia idea di arte, l'artista è in secondo piano, è l'opera in sé che deve imporsi come Arte. Per quanto completo sia Shakespeare (e anche per me nella fila dei geni sta nelle primissime posizioni), la completezza la trovo nella sua Opera Omnia, non nel singolo sonetto.

In fondo, avevo premesso al post di ieri che gli 8 punti non li avevo ancora analizzati a fondo. Ieri, nei ritagli di una giornata densa di impegni, ci ho guardato dentro con un po' più d'attenzione e spero di trovare il tempo presto per scrivere qualcosa sulla mia estetica. Mi sa che anche lì scavando scopriremo di concordare in buona parte; sono comunque curioso di proporti i miei distinguo, che pian piano sto mettendo in ordine.
Al lavoro, ora.

davidthegray ha detto...

Noticina a latere: non conosco per nulla Beefhart, e poco poco Frank Zappa. Per i Beatles ed i Rolling Stones, sono entrambi talmente lontani dalla completezza da essere difficile stabilire chi sia il più completo. Mi piace quello quando scrivi: la prop4 mi serve per criticare il mero formalismo, che giudica l’ opera solo come un oggetto architettonico, così come il mero idealismo, che vede nell’ opera solo l’ interiorità dell’ artista. Pienamente d'accordo. Nell'arte c'è forma e sostanza, e devono esserci in modo equilibrato. A mio vedere Beatles e Rolling Stones, per la parte che tecnico/formale, sono molto, molto carenti.

Anonimo ha detto...

Per B. e R.S., scrivevo avendo in mente un’ idea di completezza legata al mondo della musica pop. In questo senso i limiti li do per scontati.

La tavolozza dei B. è molto più ricca, va dallo yè yè, al romantico, alla psichedelica, al rock, alla sperimentazione.

La ricchezza, preciso, non consiste nel fare saltapicchio qua e là ma nel fondere in una miscela originale che funziona i vari elementi.

Per i RS è diverso, pur avendo scritto dei “lenti” stupendi e aver tentato l’ avventura psichedelica in modo non banale, restano sempre felicemente ancorati alla matrice blues che predomina sempre ed impedisce loro di avventurarsi troppo altrove.

Certo, sia B. che RS restano rock-band e non potranno mai avere un’ elaborazione formale avanzata. E non devono nemmeno averla affinchè il loro tesoro sia esibito con il dovuto sfarzo.

Ti dirò infatti, non mi è mai piaciuto il pop/rock formalmente ricco. Quando cerco quel genere di ricchezza mi rivolgo altrove (sfrutto la divisione del lavoro tra artisti!).

Ci sono esperienze Rock anche molto complesse, penso agli Henry Cow, o alle Soft Machines, o allo stesso Zappa. La ricchezza della loro costruzione, da un lato non puo’ reggere quello della musica colta, dall’ altro toglie la punkish attitude ai loro pezzi. E sto parlando dei tentativi più seri di mischiare il colto con il frastuono rock, le esperienze di rock sinfonico le boccio ancora più deciso.

Il giudizio su una rock band è molto particolare. Perché la voce di Jagger è magnifica? Perché, oltre all’ urlo rabbioso, contiene un elemento stridulo d’ impotenza e frustrazione. Si sposa benissimo con lo spasmo inane del suo movimento in scena (oltre che con l’ autentica filosofia rock: I can’ t get no satisfaction…).

Forse, per giudicare una rock band, occorre includere anche il lato scenografico, come per le opere.

Con la miri siamo andati a vedere “Rolling Stones” di Scorsese. Niente di chè, ma il Keith Richards devastato a 65 anni e ancora così tremendamente “in parte”, vale il prezzo del biglietto (ma basterebbe anche la sua pubblicità alle valige Louis Vuitton, anche se è in bianco e nero e non si vede il vezzo dell’ ombretto sugli occhi del mostro).

Certe facce raccontano una storia e con quelle facce i RS mettono la freccia per superare i B. nel mito pop.

davidthegray ha detto...

Completezza legata ad un mondo?

Credo che Bach sia indiscutibilmente completissimo, se lo leghiamo al suo mondo. Sarei tentato di dire che a questo punto il predicato sulla completezza lo buttiamo definitivamente a mare, ma lo evito perché sono propenso ad escludere che B e RS (e la musica rock in genere) possano aggiudicarsi il bollino blu dell'Arte. Magari gli mettiamo un bollino indaco o verde, di quelli stampati senza la maiuscola, che ne dici?

Rimando il tutto a quando riuscirò a dare un senso alla bozza "C'è arte ed Arte" che ho in mente (e in parte già trasformato in flusso di bytes che resiedono su chissà quale server di Google). Ti do un'anticipazione (so che non stai più nella pelle... ovviamente scherzo!). Conto, tra le altre cose, di fare una bella distinzione anche tra arte e performing art (non sono ancora riuscito a trovare una traduzione convincente di questa definizione). Sta in piedi il rock senza la parte "performance"? No. Sta in piedi la musica di Bach anche solo sulla carta? Sì. Anche per questo (ma non solo), c'è arte ed Arte.

Anonimo ha detto...

L' attributo della "completezza" io non lo butto, anche perchè riesco ad individuare artisti che sono grandi anche e soprattutto grazie alla loro completezza.

Sì, nel rock c' è anche un elemento teatrale, non c' è dubbio. In questo lo avvicinavo all' Opera.

Ci sono poi anche i testi. Qualcosa di diverso dalla poesia.

Si tratta di qualcosa che sta a metà tra la poesia e lo slogan. Ci vuole una "felicità sloganistica", Una "felicità battutistica" e ci sono alcuni rocker che ce l' hanno migliore di altri.

Persino il Vasco ha avuto momenti felicissimi. Per esempio cantando la domenica mattina "in coma" dei ragazzi di paese che il sabato sono andati in discoteca (Fegato spappolato). Oppure cantando la sua Silvia che, mentre impazzano le urla della mamma ("... sbrigati... in ritardo come al solito..."), lei, nel suo vuoto pneumatico adolescenziale, si guarda di sfuggita il seno allo specchio e, mentre va via riprecipitandosi nella vita, pensa "... è ancora piccolo ma crescerà".

Detto con il tono giusto, con la giusta fuggevolezza dei pensieri, con l' accordo giusto, quel ".. è ancora piccolo... ma crescerà..." direi che è quasi poesia o perlomeno, un adolescente ci identifica la sua esistenza. E non è poco.

P.S. attendo con ansia la tua "estetica". Anzi, se devo essere sincero ho avanzato la mia per leggere quella degli altri, era il fine ultimo.

davidthegray ha detto...

Io non trovo per nulla che il rock sia Arte. Se devo concedergli quello status, purtroppo mi tocca riconoscerlo anche ad un sacco di altre cose che mi renderebbero difficile trovare qualcosa che non sia arte.
La musica "leggera" ha in genere una cosa che l'accomuna: l'impreparazione assoluta dei suoi "artisti". I testi sono miseri. Sì possono solleticare, possono suggestionare. Di solito fanno leva dove la fragilità scopre i fianchi. Infatti di solito sono i giovani quelli che più si fanno stregare da questi "artisti". Giustappunto la ragazzina adolescente che si riconosce nel testo di Vasco Rossi che citi. L'impreparazione musicale, poi, è abissale. Dal punto di vista compositivo, questa "musica" procede per sequenze armoniche di una miseria da brivido. Tonica sottodominante tonica dominante tonica. Anche dal punto di vista strutturale, quasi tutti i brani (con notevoli eccezioni) sono strofa ritornello strofa ritornello strofa ritornello dissolvenza. La forma "canzone". Come se mezzo secolo di poesia si fosse fermato al sonetto. Dal punto di vista esecutivo, nei casi migliori ci troviamo di fronte ai "virtuosi" della chitarra elettrica o della batteria, gente cresciuta nei garages che non ha mai seguito un itinerario serio di preparazione allo strumento, nei casi standard siamo nel regno del pressapoco. I "grandi" usano band di professionisti prezzolati, tra cui qualche volta c'è anche qualche strumentista vero ma fallito che, vuoi per disperazione (di solito fanno la fame), vuoi per divertimento, si presta a tutto. Il lato vocale è desolante. A quelle voci non è richiesta preparazione, anzi, quando ce n'è un minimo, stride con la povertà che la contorna.



Quando dico che la "performance" è determinante non voglio per nulla fare paragoni con l'opera. L'opera è il frutto di una mente geniale, magari con la collaborazione di un librettista (che però termina il suo compito quando inizia quello del compositore), che scinde del tutto la parte compositiva da quella esecutiva, che spesso è affidata a tutt'altra gente, magari a distanza di secoli. Cos'è un brano dei Pink Floyd quando non lo eseguono i Pink Floyd? Una misera copia, una cover. Cos'è The dark side of the Moon (il brano, ma anche l'intero album) se lo leggi sulla carta? Quattro accordi, un testo infantile, una melodia miserrima. Certo, quando lo eseguono i Pink Floyd la suggestione è forte.

Nota bene che a me tanta musica "leggera" piace, Pink Floyd compresi (ma Vasco Rossi no, proprio mi fa venire i conati). Credo che però sia importante coglierne i limiti. Non tutto quello che ci diletta ha per forza un valore. Io mi diverto ancora tanto leggendo le storie di Topolino, e non credo che abbiano in sé molto meno valore di Ligabue (non il pittore!). Di fronte a certi videogames per la Playstation resto a bocca aperta. Sono pochi i punti in cui non rientrano nella mia tabellina per l'esamino che dà il bollino blu. Di certo sono molto più vicini a completarla che non la mia amata Björk. Ma basta una casellina dove la crocetta non è bella nitida, e la A maiuscola salta. Di solito sono le crocette più alte, quei piani che soddisfano la persona preparata, quella che è afferrata nella materia, nel linguaggio. Ma non è solo quello. Anche il Cirque du soleil ha una bella sfilza di crocette, comprese quelle ai piani alti della tecnica. Tecnica assoluta, non solo quella legata al "suo mondo". Ma anche lì c'è qualcosa che non completa la tabella. La parte tecnica e quella emozionale sono colpite per bene, direi affondate, ma la parte spirituale è a zero. E poi, troppe mani sono coinvolte, e un messaggio artistico per me può essere solo il frutto di un'unica mente, altrimenti è per forza un compromesso. Forse c'è qualche eccezione in questo, ma di solito non va oltre le due menti. Sempre disgiungento la parte "performance" (dove pure però c'è un regista che decide e gli altri - pur mettendoci indispensabilmente del loro - eseguono) da quella compositiva.

Io la vedo così, e comunque capisco che la mia è una posizione un po' dura. Sull'arte sono un purista.

Anonimo ha detto...

Diciamo che nel Pop puoi trovare dei momenti artistici. Nei Beatles puoi trovarli di certo. Devi però capire che tipo di arte fanno, non è semplicemente "musica" tradizionale da giudicare unicamente in base alle armonie.

I testi spesso hanno una poeticità di prim' ordine, penso adesso a Paolo Conte. Devi però capire che non si tratta di "poesia" da confrontare con Montale. Si tratta di slogan/poesia. Roba fatta per essere pronunciata con un certo tono su un certo accordo.

Se poi usciamo dal finto rock da classifica (Rossi, Ligabue, Beatles, Pink Floyd), si incontrano veri artisti che hanno fatto la musica d' avanguardia post bellica, anche grazie al fallimento della cervellotica sperimentazione colta.

Cerco di farmi venire in mente qualche nome attingendo un po' da jazz un po' dal rock: Anthony Braxton, Elliot Sharp, Chris Cutler, Fred Frith, Renè Lussier, Jon Rose, Keith Rowe, Roscoe Mitchell, Steve Berensford, Linsday Cooper, Eugene Chadbourne, Gigou Chenevier, Jean-Francois Pauvros, Martin Tetrault, Kato Hideki, Michel Doneda, Leonid Soybelman, Steve Lacy, Mike Didovsky, John Zorn, Zeena Parkins, Sergej Kuriokhin, Wayne Horowitz, Steve Buchannan... sono tutti musicisti eccellenti, hanno un' indole piuttosto indisciplinata e rumorista, essendo dei virtuosi nei rispettivi strumenti vengono spesso chiamati dai compositori dell' avanguadia accademica per eseguire da solisti i loro pezzi, specie se ci sono elementi noise o d' improvvisazione, quasi sempre i loro titoli accademici sono impeccabili.

Giudicare un pezzo degli estoni Ne Zedhali sulla base delle progeressioni armoniche vuol dire semplicemente giudicarlo al di fuori del suo contesto, è un' operazione ingenua. Sarebbe come bocciare senza appello Bach perchè, ascoltando una sua partita, la trovo tremendamente "povera di effetti distorsivi". Sarebbe come se giudicassi banale un pezzo del clavicembalo ben temperato per il fatto che non presenta interventi nella cordiera! L' arte di Bach punta su altro, come il rock (che è un' arte rumorista e epilettica) non mette certo al centro le "progressioni armoniche".

Come dovrebbe essere giudicata la musica dello svizzero Christian Marclay, o del giapponese Otomo Yoshihide, o del canadese Bob Ostertag, visto che "suonano" solo fonti pre-registrate (cassette-cd-nastri, sample...)? Non di certo sulla base della complessità armonica, le loro complessità sono ben altre e la loro "arte" universalmente riconosciuta visto che si esibiscono sia con le loro rock band, sia nei conservatori di tutto il mondo.