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venerdì 24 ottobre 2008

Tutti al casinò, ma in grande stile

Trovo che questo periodo, diciamo da qualche settimana, sia complessivamente deprimente. Non so quale sia la chimica di queste cose, ma non riesco a dare una spiegazione completamente razionale a questo stato di cose. Per giorni, uscivo di casa di buon umore, ascoltavo le notizie alla radio ed arrivavo in ufficio di umore pessimo. Finché questo umore pessimo si è stabilizzato, ed ora è in risalita da assuefazione alle pessime notizie.

Non capisco, come probabilmente nessuno capisce, cosa stia accadendo nel mondo della finanza. Ho sempre avuto l’idea che le borse fossero un po’ in bilico tra la serietà del mondo del lavoro ed il gioco demenziale ed azzardato del casinò. Però, visti i capitali e le società che ci stanno dietro, ho sempre propeso per la prima, tanto che una cospicua parte dei miei capitali è investita in fondi comuni azionari un po’ di tutto il mondo. L’incubo legato alla borsa ha sempre avuto un nome preciso: gli “speculatori”. Tutti noi che investiamo in borsa, infatti, speriamo di guadagnare più che con le altre forme più tranquille di investimento. Gli speculatori, però, perseguono questo scopo con mezzucci poco limpidi, facendo in modo che la quotazione dei titoli cambi per ragioni diverse da quelle che dovrebbero regolarla, puntando su rapide operazioni di acquisto e vendita e non sul lungo termine.

Cosa sta accadendo in questi giorni? Sono in corso giochi pesanti da parte degli speculatori, oppure ci sono investitori in preda al panico disposti prima a vendere a qualunque prezzo pur di vendere, poi a ricomprare, poi a rivendere? C’è un legame sensato tra la crisi degli istituti bancari di una parte limitata del mondo ed il disastro che ha colpito tutti i settori di tutto il mondo?

Sempre di più sono convinto che l’Economia sia la disciplina dell’alea totale. Non esistono esperti, in economia. Esistono solo opinionisti, e l’opinione dell’uno vale tanto quanto l’opinione dell’altro. Sono tutti esperti il giorno dopo, ma nelle capacità di previsione non ce n'è uno che non prenda fiaschi colossali. Ecco perché mi sento autorizzato a dare anche la mia opinione, da totale inesperto. Sono convinto che non valga meno di quella dei presunti “esperti”. Metto la premessa indispensabile che i fenomeni coinvolti sono enormi e di massima complessità, per cui questa sarà una semplificazione drastica in cui ogni punto può essere oggetto di errori valutativi ed omissioni enormi.

L’idea che mi sono fatto è questa: qualche anno fa c’è stato un periodo in cui il tasso di sconto era globalmente ai minimi mai visti (almeno da che io abbia memoria). I conti correnti bancari proponevano interessi dello zero virgola (qualche banca furbona non li ha ancora adeguati, ma questo è un altro discorso) ed i mutui a tasso variabile venivano via a prezzi di liquidazione. Non è che la situazione economica fosse rosea, ma tutti noi, vuoi la natura ottimista dell’animo umano, vuoi la propaganda furfantesca dei promotori bancari, ci attendavamo davanti un periodo in cui il Divino Euro ci avrebbe garantito che i tassi di sconto sarebbero rimasti bassissimi. E frotte di persone ed imprese hanno contratto debiti a tasso variabile. (Analoghi fenomeni sono accaduti nelle aree non euro.)

Perché poi i tassi siano saliti così repentinamente e vertiginosamente, questo è il primo mistero doloroso. Personalmente credo che si sia trattato di una manovra speculativa attuata dalle istituzioni (banche centrali, governi) per racimolare denaro facile, sapendo che l’indebitamento complessivo era enorme. Manovra in parte in malafede, dunque, ed in parte anche necessaria per porre qualche rimedio al galoppare dell’inflazione reale, poiché non era più sostenibile continuare artificialmente a misurarla al ribasso, in quanto il crescere dei costi (materie prime, petrolio in primis , e rivendicazioni salariali) aveva ormai fatto gettare la maschera. Questo però non giustifica del tutto quell’aumento, in quanto aumentare il tasso di sconto porta sì ad una maggiore corrispondenza tra i tassi del prestito e l’inflazione, ma produce anche nuova inflazione e difficoltà alle imprese. Che essendo già in crisi per i fenomeni della globalizzazione (competizione da mondi che hanno condizioni legislative non paragonabili) non hanno avuto altre scelte che alzare i prezzi (generando inflazione), indebitarsi ulteriormente, e/o fallire. Ma la conseguenza peggiore, per ora, si è vista sui privati cittadini che avevano contratto debiti a tasso variabile. Questi si sono visti aumentare le rate di cifre assurde, anche del 30% (ed il perché così tanto è per me il secondo mistero doloroso), ed in qualche caso sono arrivati al default. Nei paesi le cui popolazioni sono più “leggerotte” nel rivolgersi al credito (USA, Gran Bretagna) questo ha avuto conseguenze più drammatiche, ma anche da noi la situazione è grave.

Ora, vista la drammaticità del momento, le banche centrali hanno iniziato ad allentare la morsa dei tassi, ed i governi hanno dovuto dare garanzie sulla liquidità delle banche. I debiti restano, e quindi prima o poi saranno pagati (anche con profumate penali). Sarebbe assurdo pertanto che fallissero le banche solo per carenza di liquidità. Ma intanto i governi la devono garantire sotto forma di obbligazioni, e anche questo ha un costo.

Perché gli “esperti” non hanno saputo prevedere che il crescere illimitato del debito avrebbe portato a grossi problemi? Qualcuno, speculatori di borsa a parte, ci ha guadagnato?

Non sono esperto, ma c'è un altro fenomeno che nella mia inesperienza mi lascia un po' perplesso. Quasi tutte le nazioni ricorrono abitualmente all'indebitamento, per sistemare i loro conti, emettendo bond. Il nostro (non unico) lo fa da parecchi decenni. Ridurlo è praticamente impossibile, a meno di avere la forza di ignorare le inevitabili proteste di piazza che si vedono non appena si inizia a tagliare le spese (lasciando inevitabilmente a casa parecchi pubblici dipendenti). Ma il debito può crescere all'infinito? Finora si è provveduto, con l'aumento delle imposizioni ed il giochetto della svalutazione monetaria, ad impedire che si arrivasse al default. Ma cosa accadrebbe se ad un certo punto la crisi di liquidità generale portasse ad avere i bond invenduti? L'Argentina è stata un caso isolato oppure è il precursore di un fenomeno che prima o poi vedrà stati ben più importanti cadere uno dopo l'altro come pedine del domino? Davvero investire in titoli di stato è così sicuro?

Considerazioni conclusive:

  1. Mai fidarsi troppo dei bancari. Mai indebitarsi oltre lo stretto necessario. Meglio una casa o un’auto o una tv piccola ma che si può pagare in fretta (possibilmente sull'unghia), piuttosto che mutui pluridecennali che sono di fatto salti nel buio.
  2. Mai fidarsi degli esperti e degli economisti in genere. Purtroppo però anche l’istinto non è automaticamente miglior consigliere. Non si può nemmeno investire tutto il proprio capitale in obbligazioni a tassi dimezzati rispetto all’inflazione reale, né in case che hanno costi di mantenimento elevati e prezzi ben al di sopra di qualunque logica. Investire in azioni, dunque, resta una necessità, pur di non andare oltre la quota di cui si è certi di poter fare a meno per lungo tempo.

lunedì 21 luglio 2008

Vi sono diversità di carismi, ma...

La teoria proposta dall’amico Ric sulla selezione naturale delle civiltà nella sua risposta a questo mio post è affascinante. Sarebbe interessante fare un’analisi storica per metterla alla prova. Ho l’impressione che al variare delle fasi storiche otterremmo risultati contrastanti. Un bel laboratorio è forse la comunità europea di oggi. Mi sa che stiamo assistendo ad un’italianizzazione dell’Europa anziché ad una europeizzazione dell’Italia, quindi ad una decivilizzazione, ma è solo una discutibilissima impressione. Se poi ampliamo la scala a livello globale, mi sa che le civiltà scassate non siano proprio dei panda, semmai il contrario. Però può darsi che guardando bene all’insieme anche nelle civiltà più scassate siano in corso dei processi evolutivi e può darsi che situazioni come la degenerazione dell’Iran negli ultimi decenni siano solo un processo patologico destinato alla regressione. Sono comunque molto tentato di cedere all’ottimismo in questo campo, dato che tutto sommato credo abbastanza (irrazionalmente) nelle magnifiche sorti e progressive dell’umanità (manzonianamente aiutata in questo dall’alto).

Trovo interessante la sua provocazione sulla genetica. Non avevo nessuna intenzione di farvi riferimento e non ho capito perché vi ha accennato, ma già che ci siamo ci ho pensato su un po’. La genetica comportamentale è una nuova scienza che non è affatto imparentata con il razzismo. Stiamo uscendo dall’epoca in cui si tendeva a considerare, senza verifiche empiriche, che il comportamento dell’individuo fosse determinato dall’ambiente piuttosto che non congenito. Gli studi più recenti tendono a riconoscere che l’elemento più determinante nel valutare l’intelligenza di un individuo sia quello ereditario (ambiti: intelligenza generale, abilità spaziale, capacità del linguaggio), mentre per quanto riguarda il comportamento ci sia un’incidenza variabile ma approssimativamente paritetica di entrambe le componenti congenita ed ambientale. I dati sono esposti per esempio qui, testo del 2004, quindi recentissimo, nel capitolo “Nature and nurture”, p. 47 (guarda un po’, i risultati si ricavano grazie alle famose correlazioni di cui stiamo chiacchierando dalle parti di Ric). Avendo una vita in più sarebbe interessante leggere anche questo e questo. L’ambiente fa molto per quanto riguarda la cultura, ma a livello intellettivo (e quindi comportamentale) c’è poco da fare.

The overall conclusion is clear: if we are to understand the course of children’s development and the reasons why particular individuals become the people they are, we must take into account their hereditary make-up and appreciate the extent to which genetic factors play a part in determining behaviour”.

Non mi piace scrivere queste cose perché sono pienamente consapevole che possano essere utilizzate come anticamera di una delle pratiche più odiose e nefaste per la storia dell’umanità, quella razzista, e anche perché ho appena scritto in casa di Ric che sono piuttosto incline a giudicare poco affidabili i risultati delle scienze umane. Se però le diamo per buone, perché non potremmo estenderle ritenendo che anche a livello delle comunità l’ereditarietà dell’intelligenza comporti gli effetti macroscopici così evidenti nella diversità dei comportamenti e delle culture? E’ chiaro che ci sono parecchi fattori mitiganti, tra cui il fatto che le migrazioni ed innesti ci sono sempre stati, non so se più in passato che oggi, e quindi diventa ridicolo oltre che pericoloso sviluppare un idea di una “razza” o etnia integralmente migliore dell’altra, senza considerare che è evidente a tutti quanto persino nella stessa famiglia le intelligenze ed i comportamenti possano essere disomogenei. Però liquidare il tutto a tema politicamente scorretto dal quale tenersi lontani forse è infilare la testa nella sabbia.

Dunque, che conclusioni trarre? Abbandonare il napoletano a se stesso concedendogli leggi che gli consentano di vivere nel suo casino cronico perché questo è tipico della sua cultura oppure conseguenza del cervello che gli è dato dal ceppo genetico? Costringerlo con la forza pubblica a seguire modelli che non gli sono propri e mai lo saranno in nome della superiorità di una civiltà altrui?

Forse la strada migliore è quella indicata dalla Chiesa, sulla scorta di san Paolo:
“Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito […] a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole”.

Giovanni Paolo II commenta:

Ma occorre prestare attenzione anche a un altro punto della dottrina di san Paolo e della Chiesa, che vale sia per ogni specie di ministero sia per i carismi: la loro diversità e varietà non può essere lesiva dell'unità. «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore» (1Cor 12,4-5). Paolo chiedeva il rispetto di quelle diversità, perché non tutti possono pretendere di svolgere la stessa funzione, contro il disegno di Dio e il dono dello Spirito, ed anche contro le più elementari leggi di ogni struttura sociale. Ma l'Apostolo sottolineava ugualmente la necessità dell'unità, che rispondeva anch'essa a una esigenza di ordine sociologico, ma ancor più doveva essere, nella comunità cristiana, un riflesso dell'unità divina. Un solo Spirito, un solo Signore. E, quindi, una sola Chiesa!

Credo che anche una società globalizzata possa attingere allo stesso modello. Rispettiamo quello che c’è di buono nel napoletano e non disperiamo nella possibilità di trovare un’unità tra lui ed il meranese, o tra l’islandese e lo zimbabwese. Non abbiamo paura però di cercare in tutti i modi di far sì che ci sia un’unica Umanità, la quale riconosca volente o nolente alcuni principî ineludibili. (Nella piccola bottega italiana, il federalismo fiscale nulla toglie a questo intento e mi sembra un’ottima soluzione se finalizzato al rispetto delle diversità.)


Nella mia prospettiva, in questa ricerca non ci accontenteremo di cercare il minimo comune multiplo né avremo troppe preoccupazioni di tutelare i panda. Non avremo paura di confrontare gli esiti che i vari modelli proponibili comportano nel tenore di vita dei loro cittadini. Ricorreremo a feliciometri di vario genere per aiutarci nella selezione, consapevoli che mai avremo la risposta definitiva in questa ricerca. Non esporteremo i modelli a viva forza perché abbiamo da tempo imparato che questo è controproducente, semmai adotteremo quelle tattiche subdole ma efficaci, eminentemente pubblicitarie, che dagli anni ’40 in poi hanno americanizzato con successo buona parte del mondo.

venerdì 18 luglio 2008

Appunti di viaggio - Terme di Merano

L'esperienza altoatesina è unica.

Al di là della cornice indescrivibile, vi si trova un livello di civiltà difficilmente riscontrabile nel resto d'Italia. Tutto fuziona bene, tutto è ordinato, ogni dettaglio curato. E' il frutto dei fiumi di denaro elargiti dal governo italiano e ben spesi dalla provincia autonoma, indubbiamente, ma c'è qualcos'altro: una cultura civile radicalmente diversa da quella dell'italiano medio. C'è una compostezza nell'individuo di stampo teutonico, una rigidità dei comportamenti che a volte ci fanno sorridere, ma si traduce negli invidiabili risultati che colpiscono non appena si mette ruota in quei territori.

Il pragmatismo scevro di ipocrisie che qualche volta per noi sfiora la rudezza. Una meranese in sauna mi rimprovera in tedesco perché ho girato una clessidra in cui non sono scesi ancora pochi granelli di sabbia. Le obietto che ormai per me è praticamente completata. "No, mancano ancora 30 secondi alla fine." Dopo i 30 secondi, un "grazie" gentile, e esce. Quanti comportamenti di questo tipo, per noi così ridicoli, fanno parte di quella cultura? Eppure in fondo è grazie a quei comportamenti che c'è un abisso tra i paesi di impronta tedesca, ordinati, puliti, affidabili, "sicuri", ed il caos tipico che governa i popoli latini ed in particolare l'Italia.

I teatri, con i loro ricchi programmi, le terme in cui si riesce ad essere tranquilli pur tra centinaia di persone (cellulari vietati, sigarette vietate, non si mangia fuori dagli appositi spazi, ...), il cibo raffinato. L'erba è perfetta, ogni dettaglio è al posto giusto. I giochi per i bambini sono fantasiosi, accattivanti, stimolanti.

Annullamento delle ipocrisie che arriva all'ingenuità. Non c'è un topless nelle piscine e nel parco. Nelle saune invece tutti girano completamente nudi e con naturalezza. Chi indossa un costume, chi fa uscire un piede dall'asciugamanto rischiando di far cadere qualche goccia di sudore sull'abete, chi esce dagli schemi viene immediatamente ripreso dagli addetti. Ogni situazione prevede il suo comportamento, funzionale. Il risultato è che alla fine tutti stanno meglio (c'è una piccola eccezione nel malcostume universale di tenere occupati i lettini con gli asciugamani per ore, sia nelle piscine che nella zona wellness, ma non ho ancora trovato un posto al mondo in cui questo non accada).




Potrebbe un simile modello essere esportato? Funzionerebbe da noi semplicemente applicando più controlli? Io credo di sì, ma non credo che ci sia la volontà diffusa di percorrere una simile strada. Il lago di Monate è un piccolo angolo di paradiso. Purtroppo rovinato dal comportamento tipico dei beceri che fumano, gettano mozziconi, mangiano e lasciano piccoli rifiuti, schiamazzano, invadono. Forse già il far pagare un biglietto discriminante potrebbe risolvere un po' di questi problemi.

Ma c'è qualcosa che ancora sfugge. Anche le terme di Montegrotto che ho recentemente frequentato non hanno prezzi d'accesso tanto popolari. La clientela non era male. C'è tuttavia qualcosa nel contesto che fa una differenza abissale, e non solo la cornice unica delle montagne dolomitiche. C'è la cura dei dettagli architettonici, ci sono le strade in ordine, i negozi perfetti, la gente che ha cura di sé e dell'ambiente. C'è la tecnologia applicata ovunque con sistemi ben studiati. C'è la fiducia (alberghi che lasciano portare fuori asciugamani ed accappatoi senza controllo, cibo dato al bar sulla parola che pagherò ad una cassa lontana 500 metri, ...). Forse questo è il frutto di un regime fiscale assurdo, ma quanti altri paradisi fiscali in Italia che non raggiungono i risultati dell'Alto Adige? Già il pur ottimo Trentino, così vicino, è un altro mondo. Non parliamo della Vallé di Aosta. Se poi scendiamo in Sicilia...

Mi chiedono 16 euro al giorno solo per il posteggio dell'auto. Ma se è il prezzo per avere una Merano così perfetta, pago volentieri.