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mercoledì 20 agosto 2008

Tromboni autoreferenziali

Inutilmente autoreferenziale. Così mi liquida un'amica cui avevo tronfiamente e giocosamente inviato i risultati dei test ministeriali d'ammissione alle scuole italiane all'estero cui m'ero sottoposto per diletto. Anche la mia cara mogliettina, che li ha provati seriamente senza passarli, è un po' seccata della mia infantile vanagloria. Ovviamente hanno tutte le ragioni per essere piccate, avendo io scherzato su cose per loro serie, ma quell'inutilmente autoreferenziale un po' m'ha colpito.

Quando poi nelle mie navigazioni notturne sono incappato in questo scoglio

mi si è alleggerita un po' la coscienza.


Leggete un po' come viene presentato questo testo dall'autore:

Nell'amministrare la giustizia conta la legge scritta. Se facessimo delle deroghe al codice, non saremmo ingiusti? Diciamo che la giustizia deve essere uguale per tutti, ma forse non abbiamo mai riflettuto sul significato di questo principio: la legge per essere giusta deve essere applicata senza eccezioni. Ma la legge scritta dai parlamenti può contemplare ogni singolo caso umano? La legge è una macchina impersonale, che non guarda in faccia a nessuno. Eppure, per altro verso, proprio il fatto che la legge non guarda in faccia a nessuno, ci protegge dai soprusi dei potenti. La bilancia, come immagine della giustizia, rappresenta proprio questo: gli uomini sono tutti uguali di fronte alla legge.
La mia convinzione profonda è che in uno stato di diritto e in uno stato in cui tutti partecipano, anche se indirettamente, alla gestione della cosa pubblica e in cui esistono delle strade per modificare le regole che si ritengono ingiuste, le regole esistenti vanno osservate e basta. Ma è anche necessario fare una specie di gerarchia delle regole, perché ci sono delle regole che hanno un rilievo particolarissimo, un rilievo eccezionale per la convivenza e ci sono altre regole che invece hanno un rilievo molto più limitato.


Wow! Ammetto di essere prevenuto verso Colombo ed il famoso pool di Milano. Ma che dire di fronte a questo capolavoro? Iniziamo dalla foto in copertina. Mi chiedo se questi "intellettuali" che sia atteggiano a pensatori di Rodin sulle copertine siano una piaga tipicamente italiana o il virus sia diffuso globalmente. Ma andiamo oltre. Come non vedere la tragicità delle sue parole? Prima pretende di farci passare la giustizia come qualcosa di asettico, l'applicazione acefala delle norme stabilite da altri (quasi che fosse anche lontanamente ipotizzabile applicare la giustizia senza interpretare quelle norme caso per caso a discrezione del magistrato giudicante). Poi si contraddice vistosamente dicendoci che sì, le regole vanno applicate "e basta", ma non tutte hanno lo stesso valore. Forse bisognerebbe mettersi i guanti di lattice e prenderlo in mano, questo libro, per capire se il nostro pensatore arriva ad arrogarsi l'autorità di essere colui che stabilisce quali siano le regole di "rilievo eccezionale" e quali invece quelle che sì, contano, ma in fondo non tanto. Ci sarebbe anche da discutere sull'idea che, se qualche norma non va, tanto ci sono gli strumenti democratici per cambiarla, ma lasciamo perdere.

Purtroppo la mia colossale autoreferenzialità si spinge al punto da farmi frequentare poco la saggistica. Appena prendo in mano un testo già sono pieno di obiezioni. Non è una cosa che mi faccia piacere, intendiamoci. Credo che questa repulsione dipenda dal panorama librario italiano, che costringe a cercare le cose interessanti nelle pieghe dei cataloghi, perché in primo piano ci sommerge di capolavori del genere sopra copiato. Oggi, per esempio, BOL spara nelle prime posizioni altre cose che avrei schifo solo a toccare:

  • Michele Serra, Brevario comico
  • Umberto Galimberti, L'ospite inquietante
  • Serge Latouche, La scommessa della decrescita
  • Gomez/Lillo/Travaglio, Bavaglio [e scusate se questo titolo di per sé mi fa morire!]

Sì, lo sforzo per andare oltre forse non sarebbe grande, ma la pigrizia...