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mercoledì 4 febbraio 2009

Cose belle e meno belle al volgere dell'anno – parte 2

Cose imperdibili (segue):

Lego City e Castelli 
Videogame Lego Indiana Jones per PSP
Videogame Lego Batman per PS3
 
I vecchi intramontabili mattoncini colpiscono ancora. Che siano virtuali o in plastica palpabile, il fascino è indiscusso. Qualcuno sostiene che il divertimento, per i bambini, sia più nel distruggere che il costruire. Indubbiamente questa convinzione è forte negli architetti del software Lego. Sarà, ma ogni volta che disfiamo il frutto delle nostre fatiche, che sia l’aeroporto, la stazione dei pompieri o il veliero degli orchi, a me un pochetto piange il cuore.

Nella versione elettronica, i mattoncini sono stimolanti e non banali. Le difficoltà sono ben variegate e non ci si annoia. Il côté distruttivo supera quello costruttivo, ma tant’è. L’episodio batmaniano è particolarmente divertente, permettendo di impersonare anche i cattivi. Nella modalità cooperativa a due giocatori il divertimento si accresce.

Cronache di un venditore di sangue di Yu Hua
Immagine di Cronache di un venditore di sangueLa Cina da un punto di vista interessante. La rivoluzione culturale vissuta dalla gente qualunque. Spiega bene su quali terreni possa attecchire il comunismo: ignoranza, povertà, non aver nulla da perdere sia materialmente che spiritualmente. Racconta di un popolo che si nutre di passaparola surreali, di piazzate, di favori e piccoli privilegi.   Il “grande balzo in avanti” e tutte le sciocchezze propugnate dal comunismo (con la sua scala di valori, in cima alla quale sta il grande Mao che va amato sopra ogni cosa) vengono assorbite dalla gente senza illusioni né reazioni, come semplice dato di fatto. L’aspetto che ho trovato più curioso sono i rapporti umani, pre- o post-comunisti che fossero. Rapporti tra genitori e figli, tra coniugi, tra parenti, tra vicini, lavorativi. Nulla di paragonabile a quanto conosciamo noi in Occidente.

La bella addormentata nel bosco (blu-ray) e
Come d'incanto
(Enchanted)
La Disney ai soliti livelli. Passano gli anni ed i decenni, ma il riferimento è sempre lì. Inutile commentare un’opera d’arte quale “La bella addormentata”. Due parole sull’edizione blu ray. Spettacolare, non c’è che dire. Di film e cartoni dell’epoca in DVD ne ho visti parecchi, così nessuno. L’avessero realizzato ieri, questo cartone, non ci sarebbero differenze (a parte lo stile dell’epoca, che oggi non è più attuabile, quei livelli non si raggiungono più da parecchio tempo).

Il massimo che si vede ai nostri giorni è comunque notevole. Non c’è più la cura artistica che c’era allora. Oggi è tutto più “commerciale”, non si può uscire dagli schemi del politically correct (non che questo in generale sia sbagliato, ma purtroppo questo a volte sconfina in un relativismo culturale piuttosto inaccettabile). Come d’incanto sembra tentare un’operazione di rottura degli schemi classici. Si tratta di un musical realizzato con tecnica mista cartone animato/film recitato. Prende in giro un intero genere, quello dell’“e vissero felici e contenti”, delle principesse che si innamorano a prima vista del principe azzurro, perfettamente rappresentato dalla Bella addormentata. Gli attori sono grandiosi (tra cui un non-principe-azzurro Patrick Dempsey - il “dottor Stranamore” della sit-com Grey’s Anatomy; una Susan Sarandon che è assai credibile nell’impersonare la regina cattivissima; ed un’eroina Giselle incarnata dalla bravissima e talentuosissima Amy Adams). La colonna sonora è del solito geniaccio di Alan Menken raggiunge livelli da far cadere la mascella in alcune scene, come nella grandiosa coreografia con i giamaicani in Central Park. Ora mi toccherà rivedermelo in inglese, non fosse altro che per sentire la voce narrante dell’ancora attivissima Julie Andrews.

Sweeney Todd (blu-ray) 
Tim Burton il sanguinario. Ancora un musical, ancora una colonna sonora con punte memorabili. Il film è geniale, di quelli che restano dentro. Le scene splatter sono veramente eccessive: sgozzamenti, carni umante triturate, grossi insetti nel cibo… eppure ci stanno tutte. Tutto il film è scuro e tetro, tranne una scena luminosissima al mare. La fotografia è sempre mirabile. Bella la ricostruzione della vecchia Londra, belli i ritratti dickensiani di ricchi e poveri, bella la trama, grandi gli attori, tra cui parecchi volti noti, uno dei quali (Timothy Spall) grandioso anche in Come d’incanto, oltre che nei vari Harry Potter (Peter Pettigrew, “Wormtail”). Non spendo parole sul macabro Johnny Depp, burtoniano DOC, che meglio di così non poteva recitare. Azzeccatissima anche la protagonista femminile (Helena Bonham Carter, già timburtoniana con Depp nel bel remake de La fabbrica di cioccolato e presto ancora, sempre con Depp, in Alice in Wonderland, anch’essa è attrice potteriana, che rivedremo presto nei panni di Beatrix Lestrange). E’ tempo che non vedo i due Batman burtoniani, mi sa che è ora di rimetterli sotto.

Batman Begins (blu-ray) e
Il cavaliere oscuro (blu-ray)
  
Batman Pipistrellus in fabula… (lo so, si dice vespertilio). Parlando di Batman, gli ultimi due episodi sono una svolta interessante. Forse si perde un po’ di poetica, ma con Nolan si guadagna in verisimiglianza e realismo (per quanto ridicoli questi concetti possano sembrare applicati ad un supereroe…). Il primo ha annoiato un po’ di gente, con la faccenda della genesi del supereroe. Non so come. Sull’ultimo, però, i pareri sono univoci. Tutti i protagonisti sono spettacolari (con qualche riserva sull’amica, sostituita rispetto a Begins ma ancora non convincente). Il Jocker riesce a non far rimpiangere Jack Nicholson. Le riprese nel superformato IMAX sono da riferimento, ed il blu ray rende giustizia all’impegno profuso per realizzarle (questa tecnica, finora usata solo per costosi documentari proiettati nei mega lunapark, sta facendo scuola: la stanno usando ora anche per Transformers 2).

Uomini che odiano le donne
La ragazza che giocava col fuoco
di Stieg Larsson

Non male. Fosse stato solo per il primo, l’avrei inserito nella sezione seguente, quella delle cose che vale la pena godersi ma non imperdibili. Il secondo, però, ha una marcia in più, che lo mette di diritto nel capitolo degli imperdibili. Entrambi i libri danno la soddisfazione di leggere una trama ben architettata, intricata quanto basta. L’ambientazione scandinava è un po’ fuori dalle nostre consuetudini, il che non guasta. Tutto è improntato ad una morale un po’ fastidiosa per me, quella delle “relazioni liquide”, dove è normale che due persone che si incontrano casualmente finiscano entro breve a letto (a prescinedere dal sesso dei due) e le coppie siano “aperte”. Ma l’autore è abbastanza onesto da non nascondersi le conseguenze che questi comportamenti implichino. Forse però l’ingrediente piccante è uno dei vari componenti fondamentali che fanno della ricetta Larsson un piatto così appetibile per tanti palati. Il tema di fondo di entrambi i romanzi, comunque, non è tanto leggero. Si tratta delle prevaricazioni, di vario ordine e grado: centrali soprattutto quelle sessuali, degli uomini sulle donne. Tema delicato, trattato in modo competente, profondo, non banale. Ottima la caratterizzazione dei personaggi. Su tutti, Lizbeth Salander resta un’eroina eccentrica cui ci si affeziona.

Cose belle ma non bellissime, che comunque valgono il tempo loro dedicato:

Quantum of solace (cinema)
James Bond è sempre James Bond. E’ un mondo a parte, che ho seguito in tutti i suoi capitoli, almeno cinematografici. Non credo di poter essere obiettivo parlando di Bond. Prosegue dove Casino Royale s’era fermato. A tratti è un po’ troppo frenetico e si fa fatica a seguire gli sviluppi delle scene. Lo spettacolo è comunque grande, e a me questo Bond tetro e cupo (caratteristica di moda negli eroi cinematografici del momento) in fondo piace più del Bond solare e sempre inappuntabile dei pur grandissimi Sean Connery e Roger Moore. Lunga vita a Craig-Bond.

Underworld (blu ray)
La guerra tra vampiri e licantropi. Un’idea che non lascia presagire nulla di buono. Eppure il film è coinvolgente, non fa rimpiangere il tempo dedicato. Decisamente meglio, per stare sul genere vampiri, dei vari Blade. Ambientazioni dark, personaggi maledetti, combattimenti epici, litri di sangue, morphing a gogo. L’intrattenimento c’è, gli attori (in particolare la protagonista) fanno godere gli occhi, la trama non è né banale né scontata.  

Kung-fu Panda (blu-ray) 
I cartoons targati Dreamworks non mi convincono mai al 100%. il film è divertente ed a tratti ilare. Purtroppo il linguaggio così gergale e la superficialità di una trama che si presta assai poco ad una seconda lettura ne fanno un’opera un po’ banale. I personaggi sono totalmente assurdi, e questo è uno dei pochi pregi di un film che non ha nessun’altra pretesa che il facile intrattenimanto. In questo, però, riesce abbastanza, anche se qualche sbadiglio ogni tanto scappa.

Le cornache di Narnia: il principe Caspian (blu-ray) 
Seguito non male, finalmente con una voce ascoltabile per il leone Ashlan. Il primo non mi aveva fatto impazzire, e nemmeno questo. Gli attori non mi convincono fino in fondo. C’è un che di artefaatto che domina questi film. Le relazioni tra i personaggi sono troppo melliflue. La trama è sempre scontata. Non ho letto gli originali di Lewis, prima o poi devo decidermi a farlo. Stando ai film, le metaforse sono troppo esplicite ed improntate ad una visione protestante del cristianesimo, anche se ammetto non è semplice definire da quali elementi precisamente questo traspaia. Di fatto c’è una differenza abissale rispetto alla profondità delle metafore tolkeniane e nella complessità dei loro mondi fantastici.

Il grande capo di Lars von Trier 
Originale. Carino, ma non bellissimo. Non c’è opera di von Trier che non sia piena di ideologia, e questa non fa eccezione. Non c’è opera di von Trier che non sia intelligente, e anche qui nessuna eccezione. Questo film è un po’ più “leggero” dei precedenti. Dovrebbe essere una commedia allegra, ed in effetti lo è. Resta di sfondo l’idea che il “capo” sia un essere a sé, diverso dagli altri uomini. Per potersi umanizzare, il capo deve fingere di essere a sua volta dipendente. Strano concetto, qui portato al parossismo.
Curiosissimo è il quadretto dei rapporti Danimarca-Islanda che fa da sfondo. Sembrerebbe che qualche vecchia cicatrice non si sia mai rimarginata. Questo è l’aspetto che più mi ha divertito nel film.

Cose bruttine e deludenti:

Indiana Jones e il teschio di cristallo
La solita saga un po' stupidina. Fondamentalmente inutile, anche dal punto di vista del puro intrattenimento. Non ho mai capito nemmeno il successo dei primi tre episodi, ma questo è ancora più insipido.

venerdì 9 gennaio 2009

Cose belle e meno belle al volgere dell'anno – parte 1

Le vacanze sono ormai giunte al fine. Complessivamente il bilancio è molto positivo.

Tralasciando la parte più importante, quella relativa agli affetti personali, mi dedicherò alle “belle cose” più materiali che mi hanno rallegrato queste settimane. In buona parte si tratta di fenomeni supercommerciali: rifuggo come sempre dagli atteggiamenti snobistici. Non tutte sono cose particolarmente nuove. Elenco solo quelle che ho letto/visto/ascoltato/usato per la prima volta.

Cose imperdibili:

LittleBigPlanet
Un gioco innovativo per la PS3, destinato a rivoluzionare il mondo dei videogames. Guidando il nostro sackboy (un pupazzetto di stoffa che possiamo abbigliare e decorare come vogliamo), esploriamo in perfetto stile platform game un mondo fantastico ed accattivante, colmo di suggestioni. Si può giocare cooperativamente fino in quattro, e giocarci con i bambini è un vero spasso. E’ superintegrato in internet e c’è la possibilità di creare ricchissimi ambienti da condividere e far giocare online agli altri giocatori sparsi per il mondo. La grafica è rivoluzionaria, fatta tutta di elementi e materiali del mondo reale trasformati. E’ un gioco che ha creato in me un po’ di dipendenza.

Cito quale curiosità l’incidente che ne ha ritardato l’uscita di qualche giorno: una canzone conteneva un testo in libanese tratto dal Corano, il che è stato sufficiente a costringere i produttori, per evitare l’ira dei mussulmani, a ritirare centinaia di migliaia di copie in blu-ray già stampate e distribuite ai grossisti.

Desperate Housewives, stagione 4
Serie che ha mostrato un nuovo slancio. Dopo una prima stagione esplosiva, un leggere calo nella seconda, un calo ancora maggiore nella terza, ecco riesplodere il fenomeno, grazie all’apporto di una grande linfa vitale. L’autore sembra gettare ogni remora dovuta probabilmente in passato ad una ricerca di minima plausibilità. Qui, invece, assistiamo ad un impianto più sudamericano, con trame intircate che includono omicidi tentati e riusciti, spettacolari uragani meteorologici e sentimentali, ragazzine psicocriminali e madri che occultano il cadavere del figlio, belle facce oneste che si rivelano drogati dipendenti dai farmaci e una protagonista che affronta niente di meno che un tumore (argomento altrimenti tipicamente tabù), omosessuali dipinti come plausibili antipatici bastardi anziché i soliti simpaticoni eccentrici della TV (l’autore della serie è omosessuale e può permettersi di farlo). I momenti topici sono tantissimi ed i cali pochissimi. La serie è emotivamente coinvolgente come poche altre, e temi quali religione, malattia, rapporti famigliari (coniugali e parentali), omosessualità, politica vengono trattati in modo alquanto non-convenzionale, originale e brillante. La puntata dell’uragano a mio parere è degna di entrare nella storia della televisione.
Purtroppo la serie è rovinata da una chiusa precipitosa, fenomeno che ha compromesso anche altre serie nello scorso anno (ho in mente in particolare la terza stagione di Prison Break). Il famoso sciopero degli screenwriters ha fatto dei bei danni. Troppi fili si ricongiungono a cascata nella doppia puntata finale. Da notare l’ennesima pessima presentazione della RAI, in seconda serata e con un ritardo esagerato (un anno dopo la trasmissione su Sky), e con una cadenza variabile (martedì, poi qualche volta il venerdì, …). Per fortuna in Inghilterra è disponibile il cofanetto di DVD (che ha pure l’audio italiano), che ho prontamente acquistato e mi ha permesso di non essere succube dei capricci RAI.

Locoroco 2
Gioco per la PSP. Anche qui, il rischio di cadere in dipendenza è elevato. Il genere è ancora il cosiddetto “platformer”: ci sono vari “quadri” da esplorare, dove si devono raccogliere oggetti e risolvere enigmi per proseguire. Sembrava un genere in declino, soppiantato da altre tendenze: dapprima dai mondi virtuali ipercomplessi dei FPS (first person shooters), dove le ambientazioni sono tridimensionali e si punta al massimo del realismo cinematografico, le sessioni di gioco sono piuttosto lunghe e le trame intricate. Poi c’è stata la fase degli RPG (role playing games), dove la complessità è ancora più grande, si devono gestire una miriade di parametri attrezzando il personaggio di caratteristiche fisiche, psichiche, armamenti e poteri magici molto dettagliati e sofisticati. Infine c’è stata la reazione di rottura, quella il cui emblema è il Wii: da giochi di una complessità e dimensione enormi si è tornati a giochi ipersemplificati, dove la grafica è elementare, si capisce tutto immediatamente ed in pochi secondi si è in grado di divertirsi, come era ai vecchissimi tempi dei primi ping pong elettronici. Sto ovviamente semplificando: in realtà tutti questi mondi sono ancora vivi e vegeti, e convivono abbastanza pacificamente (a parte l’esaltazione dei vari “fanboys”, che esaltano questa o quella console e questo o quel genere, pretendendo ridicolmente di essere gli unici “hardcore gamers” che hanno capito tutto). Ogni genere, ogni console ha il suo pubblico di riferimento e c’è spazio per tutti. Il Wii è perfetto per il pubblico superoccasionale, la PS3 e l’X-Box sono per un pubblico più esigente, la PSP e il DS sono perfetti per l’uso nei ritagli di tempo, ovunque ci si trovi. Non sono rare le persone che posseggono più di una console.

Ho divagato un po’, torniamo ora al nostro Locoroco. Platform game, dicevo, ma piuttosto intricato. Ci si prende immediatamente la mano, avvicinandoci alla guida del nostro plastico e rimbalzoso pallino (il locoroco) alla ricerca dei suoi amici con i quali si unirà ingrandendosi ogni volta. In ogni coloratissimo quadro si devono unire 20 lochirochi, evitando varie insidie, in genere governate dal cattivo Bonmucho che con i suoi Moja sporca il mondo fantastico delle simpatiche talpine Mui Mui. In perfetto stile giapponese, il tutto è accompagnato da musichette accattivanti e divertenti, che spesso diventano anche protagoniste del gioco. Ci sono vari spunti umoristici e si gioca quasi sempre col sorriso. Ben presto, però, ci si rende conto che il mondo di Locoroco non è semplicissimo come appariva, ed i compiti che dobbiamo svolgere sono tanti e variegati, e spesso niente affatto semplici. Bravi gli sviluppatori, davvero, sotto parecchi punti di vista. Bella la grafica, bello lo stile, bella la giocabilità, bella la trama, bella la musica, belle le idee sulle meccaniche che regolano i vari quadri. 10/10, imperdibile.

Ortone e il mondo dei Chi
(Horton Hears a Who)

“A person's a person, no matter how small!” Ogni tanto capita un film non sotto vuoto spinto. Il libro è stato scritto negli anni 50 dal mitico Dr. Seuss (l’autore del Grinch e di Ratatouille) e la penna potente si fa sentire! L’arrogante cangura trascinatrice di folle, al grido di “se non puoi vedere qualcosa, non esiste!”, cerca di distruggere un intero minimondo (anch’esso frequentato in buona parte da scettici che non credono nell’esistenza del mondo più grande). L’elefante Ortone, “fedele al 100%”, è pronto a sacrificare completamente e disinteressatamente se stesso, pur di salvare questo mondicino e le sue minuscole personcine, collaborando con il piccolo sindaco dei Chi.

martedì 7 ottobre 2008

Palma di ghiaccio

4 mesi 3 settimane 2 giorni di Cristian Mungiu.
Un film importante, che tiene incollati ed agghiacciati dall'inizio alla fine. Imperdibile.

[Spoiler - Se non avete ancora visto il film quanto segue potrebbe anticiparvi qualche sorpresa]

Ha vinto Cannes e questo ha stupito molti, me compreso. Il tema è tra i più scomodi della contemporaneità, se non il più scomodo in assoluto. L'aborto.

Intorno a questo tema ne girano però parecchi altri. La povertà, con le sue dignità ed abiezioni, la corruzione, la Romania di Ceausescu e l'Est comunista, gli abusi, l'ipocrisia delle famiglie "bene" amiche del regime, che chiacchierano in salotto della loro "fede" vissuta andando a messa a Natale o sbandierando un pigro ateismo. Noi uomini, esattamente come in Juno, ne usciamo con le ossa parecchio rotte, come eterni bambinoni imbambolati intorno ai quali scorre il mondo vero di chi vive sul serio. Le ragazze fragili che si lasciano trascinare dalle situazioni. Ci sono una miriade di dettagli sui quali bisognerebbe soffermarsi, come la tovaglia in tela cerata e scolorita sopra ma non sui lati del tavolo, icona di una certa condizione, come gli smalti e le cere depilatorie di contrabbando, come le sigarette che dominano ovunque, come i bicchieri diversi sulla tavola della famiglia benestante. C'è una cura meticolosa in questo tipo di dettagli.

La parte del medico è scritta e recitata in modo magistrale. Spero che quell'attore riceva i premi che merita. Anche il ritratto della Romania, che ne esce come un paese malconcio ma vero, è per me un inedito. Momenti quali gli incontri con il personale degli hotel non possono non colpire chi con quel tipo di Est ha avuto qualche scambio.

Quanto al tema principale, l'aborto. Dapprima sono rimasto un po' sconcertato. Sembra che la sequenza degli eventi sia ineludibile, una specie di Castello di Kafka. Le due ragazze si fanno trascinare dalle circostanze, senza alternative percorribili. La prima idea che mi sono fatto è che questo film volesse mostrare e condannare cosa accada quando l'aborto non è legalizzato.

Ma c'è quel feto, quel bambino di quattro mesi, quel faccino innocente, giacente su quel terribile pavimento piastrellato del bagno, mostrato in silenzio in tutta la sua nuda, straziante umanità. Un autore pro-choice oppure che non avesse voluto prendere nessuna posizione non ce l'avrebbe mostrato in quel modo così crudo, così inequivocabile, così ineluttabile.

E allora viene da ripensare a tutta la catena di eventi, a quante scelte delle due ragazze avrebbero potuto essere diverse, a quanta libertà - persino sotto il regime! - hanno rinunciato optando per la via che sembrava loro una scorciatoia, fatta di difficoltà grandi ma superabili, e che invece si dimostra impervia e senza ritorno.

Ritorno impossibile, come è evidente nella conclusione, allo squallido tavolo dello squallido ristorante nello squallido albergo. Mentre la cinepresa si allontana dalla finestra, rievocando una scena precedente dove era stati ripresi due pesci rossi dietro il vetro di un acquario, le due ragazze si propongono di dimenticare il tutto non parlandone mai più. E ogni spettatore, dentro di sé, immediatamente pensa...

mercoledì 30 luglio 2008

Hero

Ormai scafato da massicce dosi di papaje verdi, tigri, dragoni e concubine accommiatanti, pensavo di essere in grado di etichettare la nouvelle vague del cinema filmato all'ombra della grande muraglia semplicemente leggendone i titoli. Non che quei lavori mi fossero dispiaciuti, ma ritenevo di aver assorbito un numero sufficiente di spadaccini volanti, ventagli ed ombrellini di bambù, lame battezzate da ideogrammi, volti cerulei solcati da rossetti purpurei.


Forse è per questo che mi sono lasciato scappare Hero quando quattro anni fa è stato proiettato nelle sale. Zhang Yimou mi ha colpito fin dall'età liceale, quando registravo sulle VHS Sorgo rosso e Lanterne rosse. Non era solo il fascino esotico dell'Oriente, a catturarmi. C'era la spessa poetica dell'autore, la sua abilità nel ritrarre e comunicare gli aspetti profondi dell'animo dei suoi soggetti, pur senza tradirne l'imperturbabilità imposta dai cromosomi a mandorla. Mi immergeva in un mondo completamente estraneo, nel quale l'onore e tradizione erano i valori di riferimento, dove gli scambi verbali non erano numerosi né la forma di interazione privilegiata tra i personaggi. Il tutto catturato sulla celluloide con tocco genuinamente artistico, dando peso ai dettagli ritmici, fotografici, coreografici in quel modo essenziale, non hollywoodiano, eppure non dimesso che è proprio dei grandi talenti.

Pare che la fortuna di Hero in Occidente sia dipesa da Quentin Tarantino, che ne ha sponsorizzato l'uscita in America, in lingua originale sottotitolata, ottenendo un successo da primato per un film non anglofono. Il doppio DVD che ho per le mani, edizione italiana con contenitore metallico, contiene diversi interventi dell'autore di Kill Bill, che mi confermano l'idea piuttosto controversa che di lui mi sono fatto negli anni. C'è qualcosa di geniale in questo personaggio, e nel contempo vi è in lui una buona dose della classica ottusità del male. Resto convinto della ineludibile caratterizzazione somatica che, nel caso di Tarantino come in quello di Dario Argento, è inesorabile.


Negli inserti del DVD, Tarantino ripetutamente sottolinea quanto scettico fosse all'idea di assistere ad un film d'azione di Yimou, e narra di come i suoi dubbi si siano infine dissolti assistendo alla proiezione. Non gli viene nemmeno il dubbio che in Hero l'azione sia qualcosa di secondario, che il linguaggio di Yimou in fondo sia rimasto lo stesso di sempre. Definire Hero "film d'azione" è riduttivo ed offensivo, sebbene vi sia un'attenuante per Tarantino nell'intenzione.

Hero è la storia dell'incontro tra l'imperatore che 2000 anni fa unificò la Cina in un unico regno, ponendo fine alle battaglie che ne insanguinavano i territori, con un astuto ed abile assassino che lo vuole uccidere. Il tempo principale del film è tutto in questo incontro nel palazzo reale. I due parlano, e nel racconto dell'assassino viene rievocata la storia che l'ha portato fino all'interno di quell'iperprotetto palazzo. I vari flashback che si susseguono ci fanno rivivere gli incontri tra l'assassino ed altri tre nemici del futuro imperatore, due dei quali legati da una intensa relazione sentimentale. Durante la narrazione, questi incontri vengono rievocati in più riprese, dapprima secondo quanto l'assassino vuole far credere al re, quindi nel modo in cui il perspicace re capisce essere andate veramente le cose. Ogni evocazione presenta colori dominanti ben definiti (bianco, verde, giallo, ...) nella fotografia. Gli incontri contengono combattimenti di spada nello stile de La tigre e il dragone e di Kill Bill. A differenza di questi film, però, qui sono perfettamente funzionali alla poetica complessiva. Sono una gioia per gli occhi e nello stesso tempo non sembrano essere il fine di una pellicola che deve inventarsi una trama per presentarli. La differenza sembra sfuggire persino al protagonista, Jet Li, che nello speciale con Tarantino ripresenta la tradizione del film cinese di combattimento, da Bruce Lee in poi, quasi che Hero si inserisse in questa tradizione.

Hero è molto di più che una carrellata di combattimenti. Contribuisce, questo sì, a farci capire perché nella definizione arti marziali il termine arti non sia lì per caso. Ma il film starebbe in piedi anche privandolo completamente dei combattimenti. L'epica, poi, non sta tutta nella spada. Vi sono scene di massa memorabili. Le piogge delle frecce scagliate dagli arcieri sulla scuola e poi sulla porta del palazzo difficilmente non resteranno impresse nella memoria dello spettatore. Non per nulla questo è anche il film più costoso prodotto nella storia del cinema cinese.


Ma la narrazione dell'amore tra Cielo e Spada Spezzata costituirebbe di per sé materiale sufficiente a giustificare una pellicola. Il tema della calligrafia, dell'identificazione tra ideogramma e concetto, del lavoro richiesto per l'impadronirsi della scrittura assimilabile all'acquisizione di una filosofia, anche questo ripaga ampiamente il prezzo del biglietto.

Mi resta qualche velata riserva, della quale non sono comunque fino in fondo convinto. Mi pare che il messaggio di fondo del "sotto un unico cielo" sia un filo troppo retorico. Mi pare che questo messaggio sia necessariamente troppo gradito al regime totalitario cinese. Non ho un'idea precisa di quale sia il rapporto tra Yimou e la dittatura comunista oggi, dopo i noti attriti del passato. Lo spettacolo d'inaugurazione delle Olimpiadi lascia intendere che i problemi siano ben appianati. Credo che un Mussolini di oggi avrebbe alquanto gradito un'opera analoga ad Hero, trasposta nel contesto della conquista delle Gallie da parte di Cesare. Eppure questo toglie poco alla bellezza e completezza artistica del risultato.

martedì 1 luglio 2008

Juno e l'articolo scellerato di Repubblica

Ho scritto quanto segue il giorno dopo aver visto lo splendido film Juno e avendo letto un articolo che condivido assai poco nei toni.

Credo che sia un po' difficile commentare la vicenda raccontata nell'articolo di Zucconi su repubblica (e più seriamente in un articolo del Corriere) senza aver visto quel film.

E' un film bellissimo, tutte le persone con un minimo di maturità dovrebbero vederlo. Leggero, pieno di ironia, ma allo stesso tempo fortissimo, per come affronta il tema della gravidanza indesiderata senza enfasi retorica, con naturalezza. "Fresco" è l'aggettivo che più ricorre nei commenti al film visti su internet.

Purtroppo da noi il film non funziona bene come in America: le ambientazioni e le situazioni sono 100% yankee, lo slang è spesso intraducibile nella fulmineità delle sue battute.

Non è difficile immaginare che Juno possa diventare un'eroina per le adolescenti americane. E' vietato ai minori di 15 anni e guardacaso le ragazze del Massachusset ne hanno 16. Al di là del "patto", chissà quante altre ragazzine si saranno fatte individulamente ispirare da Juno! E, sinceramente, non trovo del tutto brutta la cosa. Sì, a 16 anni è presto; sì, è da irresponsabili farlo per scelta, si deve sapere che un piccolo ha bisogno anche del padre, oltre che della madre. Però forse meglio a 16 che alla media standard attuale delle mamme-nonne 35-40enni! Il corpo umano è fatto in un certo modo e credo che andrebbe assecondato nelle sue fasi.

La vicenda dell'articolo ha uno stretto legame con la poetica di Juno, ovviamente, e per vari motivi. Diventa però insana nell'idea di volontariamente cercare di escludere il padre, tenendosi il bambino (è pur vero che anche il figlio di Juno andrà ad una donna sola, ma solo per una fatalità non prevista).

Quello che però mi preme sottolineare, contestualizzando l'articolo nella nostra mentalità di italiani, è come lo Zucconi, che mi vien voglia di chiamare zuccone, racconti la faccenda. Voglio sottolineare un lapsus freudiano di Zucconi:
storie sentimentali ed edificanti di donne che decidono, anziché abortire come sarebbe stato loro diritto e scelta, di far nascere il bambino e che sono state adottate da movimenti abortisti come materiale di propaganda "per la vita".


Già la frase in sé, fosse anche priva del lapsus, sarebbe da brivido (sottintendendo che sarebbe "diritto e scelta" naturale e corretta della madre quella di abortire, e dando una connotazione negativa al "materiale di propaganda per la vita" - con delle virgolette molto sospette). Ma i movimenti abortisti per la vita? Dove mai si sono visti?? Come potrebbe un giornalista lasciarsi sfuggire una simile castroneria, se la difesa della vita gli stesse minimamente a cuore?