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mercoledì 17 settembre 2008

Una gran Passione

Mettendo in gioco la somma Matthäus-Passion del sommo Bach, Ric ha messo sul piatto queste fiches. Rilancio con il grande Gardiner.

domenica 6 luglio 2008

Sulla completezza dell'arte

Credo e spero di aver capito quanto l’amico Broncobilly voglia dire, nelle sue riflessioni sull’arte. Ne colgo le buone intenzioni e, tutto sommato, condivido gli intenti. Tuttavia continuo a vederla diversamente. Non sono completamente d’accordo nell’impostazione degli 8 punti, pur ammettendo che non l’ho meditata abbastanza da esprimere un mio parere definitivo.

Vorrei a questo punto trarre qualche conclusione dalla discussione che ne è seguita. Di fatto non credo che l’arte debba ambire alla completezza. E’ un ideale che trovo velleitario, utopistico e, quello che è peggio, inutile. Non fosse altro che perché è in ogni singola opera che si dà la patente di “arte”. Se anche un artista possa lecitamente ambire alla completezza, se anche qualche artista - credo - la raggiunga, difficilmente possiamo credere che ogni singola opera di ogni singolo artista rappresenti il Tutto. Prendiamo per esempio un quadro che mi ha folgorato completamente quando mi ci sono trovato davanti al Prado, Las Meninas del Velasquez.



Non so giustificare perché, ma poche volte un dipinto mi ha sconvolto come quello. Bronco concorderà che contiene molto, tra cui quegli elementi che nega appartenere a Bach, che nasce una trentina d’anni dopo quel quadro. Forse c’è quasi tutto, in quel quadro, ma c’è davvero tutto? Tutta l'umanità è raffigurata in quel quadro? Tutto il trascendente? Non credo.

Mettiamo in discussione, a questo punto, la prop4. La singola opera d’arte non può essere completa, non può ambire a rappresentare il Tutto come suo oggetto e soggetto. L’infinito non può stare nel finito (anche se concordo che l’arte debba necessariamente trascendere, portare il fruitore oltre la sua finitezza) né, se lo scopo dell’arte è la ricerca del “bello” (e io credo di sì, purtroppo tantissimi dissentono, l’estetica di Adorno ha ancora oggi parecchi adepti), la completezza è utile ai fini della bellezza. Però, se sostituiamo totalità con universalità, allora forse ci siamo.

L’universalità è una necessità per l’arte sotto diversi aspetti. Universalità di spazio, di tempo, di livello di comunicazione. Deve comunicare qualcosa (non necessariamente un messaggio politico, mi accontenterei di emozioni, sensazioni, interpretazioni puramente estatiche) al “tecnico” tagliato come al bambino eschimese che si trova davanti per la prima volta senza possedere alcuna chiave per decifrarne il linguaggio, o possedendone solo i rudimenti. Purtroppo troppa supposta arte del Novecento ha fallito sotto questo aspetto. Comunica qualcosa solo a chi è in grado di coglierne riferimenti, allusioni, contesto, sottintesi, mirando a trasmettere un messaggio, quasi sempre provocatorio, anziché un’emozione.

Bach è universale, anche nell’Arte della fuga. Il Pierrot lunaire forse lo è un po’ meno. Molto meno lo è anche Vasco Rossi, che soddisfa i palati più facili ma lascia parecchia arsura nella bocca del musicista. Non nego che anche un musicista possa avere reazioni emotive di fronte a Vasco Rossi (non credo proprio, ma non lo nego del tutto). Insomma, a me piace ascoltare il brit pop degli anni ’80, vado matto per And that's no lie degli Heaven 17.

Non la considero però Arte, poiché sono troppi i “livelli” che mancano in quella musica. Soddisfa solo gli istinti più bassi, sia dal punto di vista musicale che dal quello testuale. Ciò che spesso oggi viene chiamata arte o cultura, è in realtà solo una pseudoarte. Non credo che l'Arte possa essere creata da persone che non abbiano una preparazione tecnica di livello elevatissimo (premessa necessaria ma non sufficiente). La pseudoarte imperversa ai cinema, sugli scaffali delle librerie, nei negozi di dischi, in televisione, su internet. E' lecitissima, io ne fruisco a piene mani, mi diletta. Ne colgo però tutti i limiti, ci sono corde che non tocca minimamente, non comunica ai “piani alti”. Allora, se la totalità cui fa riferimento la quarta proposizione di Bronco è questa, sottoscrivo quell’affermazione. Ma a questo punto non capisco come possa negare questa completezza a Bach.

Mi prendo ora la briga di copiare l’amato Pontiggia di Prima persona.


Arte e provocazione - Un quadro bianco, quando lo dipingeva Piero Manzoni, era una provocazione (e anche un quadro). Ventidue quadri bianchi erano una mostra (ricordo quando l’avevo visitata con lui che mi spiegava, ridendo con serietà, che cosa significavano i titoli, ad esempio La sofferenza di Patroclo, in rapporto alle tele). Ma due mostre di quadri bianchi che cosa sono? E sette mostre?
Molta arte di avanguardia si elide per contiguità. Basta radunarla. Non accade lo stesso per il Quattrocento toscano.