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giovedì 10 luglio 2008

Che cos’è un uomo?

C’è sempre qualcuno che si arroga il diritto di stabilire se la vita di un’altra persona valga o meno la pena di essere vissuta. C’è sempre il Veronesi di turno che parla di diritti, di autodeterminazione, ben sapendo che si parla di stati in cui l’autodeterminazione non è esercitabile. Gli ingenui assecondano questi personaggi equivoci, senza nemmeno dedicare un secondo a considerare quali possano essere le conseguenze se certi limiti vengono superati.

Il bello è che questa gente è in genere la stessa che con leggerezza etichetta come “fascisti” provvedimenti (magari anche discutibili) o governi solo perché sono contrari alle loro idee. Senza tener conto che cifra del fascismo (mutuata dall’alleato nazista) era proprio il fatto che qualcuno stabiliva se altre persone fossero o meno esseri umani, se fossero o meno degni di vivere, se fossero o meno degni di vivere liberi. Queste tendenze sono – per usare un aggettivo ormai logoro – carsiche. Ogni tanto riaffiorano.

Quelli che le sostengono sono sempre abili a gettare fumo negli occhi degli sprovveduti. Tanto che usano mezzi come far morire una persona per fame in nome della loro umanità (già, ma per loro non è più una persona degna di tale definizione), accusando la Chiesa di essere poco umana. Il caso Terry Schiavo si ripete. Forse oggi è un po’ più difficile, almeno in Italia, tanto che arrivano ad aspettare la metà luglio per tentare di mettere in atto di soppiatto i loro propositi funesti. Speravano che fossimo tutti distratti? Oppure pensano di coglierci per estenuazione, a furia di provarci e riprovarci?

Nessuno abbassi la guardia. Certi varchi, una volta aperti, è molto dura richiuderli. La storia non si ripete mai, ma qualcosa comunque insegna.

domenica 29 giugno 2008

Cena paesana

Cena interessante, stasera. Festa paesana, in onore dei 55 anni di sacerdozio del don. Mi piace ascoltare i discorsi tra gli anziani. Vivono di ricordi che parlano di un mondo che non ho conosciuto, che ho solo sfiorato da piccolo, ma che è il mio mondo.

Questa sera è stata istruttiva. Uno di essi mi ha raccontato il suo 25 aprile, quando aveva 5 anni. Prelevato, assieme a sua madre ed a sua nonna, dalla “resistenza”, una ventina di milanesi armati, con la “bandoliera” di proiettili al collo, gente nota al paese perché non era stata in guerra, né aveva mai lavorato. Comunisti dichiarati, che volevano vendicare due persone assassinate dai tedeschi.

Il gruppetto viene portato in una sala del municipio del nostro comune del varesotto, dove al posto del ritratto del duce era stato issato quello di Stalin, per essere giudicato. La sentenza è rapida: condanna a morte. La colpa, se ho capito bene, è che la nonna parlava tedesco, ed i tedeschi occupanti ne l’avevano apprezzato, frequentando la loro casa. Non era una famiglia collaborazionista, ha precisato, ma sappiamo com’erano gli italiani dell’epoca. C’erano i fascisti, c’erano i comunisti, e poi c’era la stragrande maggioranza della gente. Povera, ignorante, pragmatica, non fanatica. Come egli mi ha raccontato, la gente dell’epoca era anche “cattiva”: nella povertà, cercava di cogliere tutto quello che poteva dalle circostanze, ed i mutui favori erano frequenti, ma sempre in vista di un ricambio. Il mondo dell’“albero degli zoccoli”.
Non è uno scherzo, la condanna. Altri in quell’occasione le penne le hanno lasciate davvero, grazie a quei partigiani, ed ora giacciono al cimitero, ma loro sono più “fortunati”: gioca a favore il fatto che il padre è deportato in un campo di concentramento (non ho chiesto per quale ragione, ho intuito invece com’è finita).

Nonostante la grazia, il fatto lascia un segno profondo. Tutta la vita di questa persona cambia. A 5 anni torna a bagnare il letto. A scuola, ogni interrogazione inizia a sudare. L’evento è dimenticato, rimosso da cosciente, ma lavora nel profondo. Gli ci vorranno anni per ricostruire i fatti, associarli ai comportamenti successivi. Compagni di classe gli vanno in odio, provocandogli reazioni violente, solo perché provengono da Milano. Il dramma, ricostruisce, è che in quella situazione, a 5 anni, non aveva reagito in difesa della madre e della nonna.

Che genere di persone può emettere una condanna a morte per un bambino di 5 anni? Persone migliori dei fascisti che combattevano? O forse la loro immagine simmetrica e speculare? La resistenza, però, viene (veniva) portata nelle scuole ed in televisione a raccontarci le sue eroiche gesta. Questi episodi, invece, chi li sente mai?