giovedì 10 luglio 2008

Che cos’è un uomo?

C’è sempre qualcuno che si arroga il diritto di stabilire se la vita di un’altra persona valga o meno la pena di essere vissuta. C’è sempre il Veronesi di turno che parla di diritti, di autodeterminazione, ben sapendo che si parla di stati in cui l’autodeterminazione non è esercitabile. Gli ingenui assecondano questi personaggi equivoci, senza nemmeno dedicare un secondo a considerare quali possano essere le conseguenze se certi limiti vengono superati.

Il bello è che questa gente è in genere la stessa che con leggerezza etichetta come “fascisti” provvedimenti (magari anche discutibili) o governi solo perché sono contrari alle loro idee. Senza tener conto che cifra del fascismo (mutuata dall’alleato nazista) era proprio il fatto che qualcuno stabiliva se altre persone fossero o meno esseri umani, se fossero o meno degni di vivere, se fossero o meno degni di vivere liberi. Queste tendenze sono – per usare un aggettivo ormai logoro – carsiche. Ogni tanto riaffiorano.

Quelli che le sostengono sono sempre abili a gettare fumo negli occhi degli sprovveduti. Tanto che usano mezzi come far morire una persona per fame in nome della loro umanità (già, ma per loro non è più una persona degna di tale definizione), accusando la Chiesa di essere poco umana. Il caso Terry Schiavo si ripete. Forse oggi è un po’ più difficile, almeno in Italia, tanto che arrivano ad aspettare la metà luglio per tentare di mettere in atto di soppiatto i loro propositi funesti. Speravano che fossimo tutti distratti? Oppure pensano di coglierci per estenuazione, a furia di provarci e riprovarci?

Nessuno abbassi la guardia. Certi varchi, una volta aperti, è molto dura richiuderli. La storia non si ripete mai, ma qualcosa comunque insegna.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Sei a favore del testamento biologico? Lo bocci in tutte le sue forme?

davidthegray ha detto...

Sì, lo boccio in tutte le sue forme poiché lo considero una pericolosa forma di subdolo plagio. Chi sostiene simili espedienti fa leva sull’diritto di autodeterminazione dell’individuo. Contesto che:
* Ci sono dei limiti all’autodeterminazione dell’individuo. Per esempio, non ritengo il suicidio un diritto dell’individuo e ritengo che una società ben funzionante debba tentare in ogni modo ragionevole di impedire ai suoi cittadini di suicidarsi. Ovviamente poi interviene il pragmatismo e nella pratica non è possibile impedire ai soggetti “normali” di farlo (quelli a rischio però qualche controllo lo devono avere).
* In ogni caso, il “testamento biologico” non ha nulla a che vedere con l’autodeterminazione dell’individuo. Per potersi “autodeterminare”, sempre che una simile idea in termini letterali abbia qualche senso (troppe sono le variabili che non ci consentono una piena “autodeterminazione”), l’individuo deve avere una consapevolezza delle condizioni tra cui scegliere. Poiché non vi è nessuno modo in cui l’individuo possa essere consapevole delle condizioni in cui si troverà quando il testamento dovesse essere attuato, chi esprime un simile testamento lo fa nell’inconsapevolezza di quale sarà la sua volontà effettiva in quel momento. Questo è disonesto e credo che nessun contratto possa essere considerato valido in simili condizioni.
* Poiché la persona che si trova a dipendere completamente dagli altri (in uno stato “vegetativo”) non ha la possibilità di staccare materialmente “la spina” da sé, qualcun altro deve compiere quel gesto che avrà la conseguenza di interromperne la vita (vuoi che sia spegnere un respiratore, oppure interromperne l’alimentazione). Ergo, chi esprime il desiderio di essere soppresso nel momento in cui, per esempio, entrasse in un coma irreversibile, di fatto sta chiedendo a qualcun altro di compiere un omicidio, cosa che trovo inappellabilmente inaccettabile.
* Resta il solito, vecchio eppur sempre valido ragionamento sui limiti. Qual è la soglia oltre la quale consentire di staccare la spina? A chi spetta l’arbitrio di stabilire che una vita non sia più degna di essere vissuta? Al medico? Ai parenti? Ad un giudice?

Anonimo ha detto...

Eilà, ben tornato dai monti. Sono un po' ignorante in queste materie - non so nemmeno cosa distingua un accanimento terapeutico da altre forme di mantenimento in vita - tento comunque di delineare una mia posizione.

Credo che il suicidio sia un "peccato" ma non un atto illecito. Quindi il punto 1 non potrei accettarlo. E' un' opinione con la quale mi allontano dall' insegnamento della CC. Spero un giorno di riconciliarmi ma per ora è così, meglio prenderne atto e non mentire a se stessi. D' altronde è anche lo snodo decisivo, tutto il resto viene da sè.

Il punto due riguarda la consapevolezza, è un punto delicato. Mi sembra che il TB, con la sua solennità formale che puo' essere rinforzata a piacimento - per esempio con rinnovo periodoco obbligatorio, miri proprio a garantire una certa consapevolezza. Naturalmente non si tratta di "consapevolezza" su cosa esista dopo la morte ma di "consdapevolezza" di scegliere l' ignoto piuttosto che una certa condizione.

Parentesi: ogni volta che entra in ballo il trattamento di un rischio, le nostre vie divergono. Per me il rischio e l' incertezza fanno parte della nostra vita, sono ineliminabili, si possono ridurre e l' operazione ha un prezzo. Esisono dei modi per affrontarli che sono più razionali di altri.

Il TB mi sembra poi rispondere alla domanda che poni al punto 4. A chi spetta stabilire le sorti di una vita? Secondo me al titolare, ma qui mi riallaccio alla prima osservazione. ciao

davidthegray ha detto...

Ric, credo che tutti siamo contrari all’“accanimento terapeutico”. In termini pratici è abbastanza chiara la distinzione tra l’accanimento terapeutico ed il mantenere in vita una persona.
Chiarisco qualcosa sui punti che avevo indicato prima. E’ vero, il suicidio è peccato per la Chiesa cattolica ma ci sono varie attenuanti. Di norma chi compie il suicidio non è del tutto a posto con la testa, e questo pone delle serie attenuanti alle gravità del gesto.
Se parliamo di uno stato che deve imporre le sue leggi in modo “laico”, possiamo anche tentare di fare qualche ragionamento trascurando la morale cattolica. Non è infatti per motivi religiosi che ritengo inaccettabile che venga messa in vendita ai cittadini una “pillola per il suicidio”. Il suicidio è un atto irrevocabile, senza ritorno. Non è l’unico della nostra vita, però nessun altro è altrettanto definitivo. Solo la disperazione può spingere a privarsi dei nostri diritti fondamentali. Trovo che sia corretto che ci venga impedito di ridurci in schiavitù, seppure volontariamente, come troverei giusto se si impedisse alla gente di scegliere di castrarsi. Credo che sia giusto concedere alla gente di farsi del male, se crede, ma ci sono delle soglie che non sono disposto ad oltrepassare.
Non ritengo comunque che tutto il resto venga da sé. Le altre obiezioni al testamento biologico restano in piedi comunque ci si atteggi nei confronti del suicidio. Rinnovare il TB non cambia nulla: in ogni caso ci sarà una mano esterna (omicida in senso letterale) a decidere la vita di un uomo, in ogni caso non potrà essere espressa la propria scelta, consapevole, nel momento in cui dovesse essere invocata da qualcun altro l’attuazione del “testamento”. Si potrà esprimere questa scelta solo quando non si ha consapevolezza di cosa si proverà nei momenti in cui l’espressione diretta sarà interdetta. Quindi non è che chi scegliesse di essere soppresso scelga “l’ignoto piuttosto che una certa condizione”. No, sceglie l’ignoto di fronte all’ignoto. In tutta schiettezza, davvero ritieni che chi fomenta queste polemiche sia mosso da pietà? Credo che l’intento sia ben altro. Liberarsi dai fastidi, dalle spese, magari racimolando qualche eredità da chi si ostina a non morire (vedi il caso del marito di Terry Schiavo).
Non credo che tutto ciò abbia a che fare con il rischio. Non ci si assumono rischi sopprimendo un incapiente. Ci si assume un rischio stipulando un TB, questo sì, ma è il rischio di chi gioca la roulette russa, non certo un rischio razionale. In ogni caso non ritengo l’omicidio un buon mezzo per ridurre i rischi. So di essere controcorrente, nel momento in cui l’aminocentesi (una rischiosa pratica che dà risultati probabilistici sul rischio di avere un neonato malformato) è tanto di moda.
Punto 4: ennò, così giri attorno al problema! Così fai della soppressione compiuta col pretesto del TB un suicidio vero e proprio, ma non è così. Il titolare non esprime affatto la sua scelta nel momento in cui sarebbe ipoteticamente nelle condizioni di esprimerla consapevolmente. Non so se hai letto il forum negli anni scorsi, quando c’era chi scriveva che non c’è dignità nella non autosufficienza di molti anziani. Guai a quegli anziani (che spesso sono attaccatissimi alla vita che gli rimane) se capitassero nelle mani di qualcuno di questi giudici della dignità altrui, se avessero firmato un TB! Qual è la soglia che indichi nel TB? Il coma? Il coma irreversibile? La perdita di coscienza? La perdita del controllo degli sfinteri? Chi la certifica, torno a chiedere? TB o non TB, alla fine la scelta per la morte non la fa il titolare. La fa il padre di Eluana, la fa il suo medico, la fa un giudice di un tribunale, la fanno tutti tranne Eluana, qualunque cosa possa aver scritto in una fase completamente diversa della sua esistenza.

broncobilly ha detto...

Mi hai messo qualche dubbio. In fondo però sono ancora convinto che la posizione decisiva resti quella relativa alla legittimità del suicidio. Il resto segue.

Se tu ritenessi quella pratica pienamente legittima, giustificheresti anche un' assistenza al suicidio qualora venga richiesta con decisione. Magari la considereresti anche come un atto altruista.

Non penso che chi fomenta queste polemiche sia mosso da pietà. ma nemmeno da motivazioni economiche. I più esagitati penso che abbiano una foga "ideologica" e non gli pare vero di potersi scagliare contro il loro bersaglio preferito: la Chiesa. Esiste una tradizione storica, mica escono dal nulla. Oltretutto io motivo la mia posizione in nome della libertà personale. E la compagnia che mi tocca frequentare non mi piace proprio perchè, in altri campi, di questa libertà fa scempio. Però, su questo punto, lascerei fuori le persone coinvolte. Non me la sento di giudicare un genitore con la figlia attaccata alle macchine da 16 anni.

Mentre sono sensibile al problema della "soglia", non mi convince il problema delle "conseguenze dilazionate" rispetto all' atto che decide. Prendiamo molte decisioni importanti che hanno conseguenze imprevedibili nel futuro. Certo, questa potrebbe essere la nostra decisione "più importante". Ma allora torniamo ad un discorso di "soglia".

La mia "soglia" è più alta. Perchè ho una soglia più alta? Spero che cio' sia da imputare, almeno in parte, ad una fiducia istintiva nell' uomo. Temo invece che sia dovuto all' ideologia libertaria.

davidthegray ha detto...

Hai perfettamente ragione! "La posizione decisiva resta quella relativa alla legittimità del suicidio. Il resto segue." E' perfettamente coerente. Il fatto è che in quel "resto" stanno un'enormità di cose che trovo pericolosissime ed inaccettabili. Ecco perché preferisco che non ci siano varchi in quei bastioni. Proprio perché al minimo cedimento "il resto segue". Sono del tutto convinto che buona parte di quel resto disgusti anche te, mentre in quel resto ci sono tante cose che a quella compagnia che così poco ti piace non creano molti problemi. Passando per l'eutanasia olandese dei bambini con problemi e per la sterilizzazione forzata dei malati di mente, per spingersi chissà dove.

Preciso che non intendevo esprimere alcun giudizio sul padre di Eluana. Non ritengo che delle persone così emotivamente coinvolte siano in grado di esprimere pareri lucidi, quindo non oserei mai condannarle. Condanno senza riserve invece chi mette il megafono alle loro angosce, chi le lascia sole. E' chiaro che il peso di un figlio handicappato o in stato vegetativo non può cadere solo sui genitori. E' dovere di una società evoluta prendersi cura di questi casi assistendo psicologicamente e materialmente i loro parenti. Mi auguro che questo avvenga nel caso in questione.