questa assurda situazione)
venerdì 30 gennaio 2009
Lasciatemi godere
questa assurda situazione)
giovedì 2 ottobre 2008
Potenza ed atto
Dobbiamo rallegrarci o rattristarci per questa notizia? Propendo nettamente per la prima ipotesi. Leggere delle farneticazioni prodotte dalla Cassazione nel 1993 (l'autodeterminazione della donna farebbe sì che, se si uccide una donna incinta, l'aborto - la soppressione del feto - che ne consegue sarebbe "minore e incidentale" e quindi irrilevante ai fini della pena) mette un po' i brividi, e vedere che un giudice definisca quella sentenza con un ironico e sprezzante "suggestiva" non può che far piacere. Fuori da ogni ipocrisia, è evidente ci siano delle contraddizioni legate alla 194 cui non si potrà rimediare altrimenti che eliminano il presunto "diritto" della donna di sbarazzarsi a capriccio del proprio figlio, ma questa coerenza pare essere utopia irraggiungibile.
Quello che lascia un po' di amarezza, però, è che un'ovvietà come quella pronunciata dal giudice di Milano debba ancora essere una notizia, e che si legga nella sentenza una cosa quale
l’interruzione di gravidanza è stata il movente dell’imputato, determinatosi a terminare due vite (l’una in atto e l’altra in potenza).Una vita "in potenza"? Cioè, quella del feto non sarebbe ancora una vita?
Dunque, in quest'ottica (se proprio non vogliamo dire che un feto è vivo - ragionando per paradosso e tentando di interpretare il pensiero dei pro-choice), gli stati di riferimento nel ciclo di un essere vivente dovrebbero essere:
- vivo in potenza,
- vivo in atto,
- morto in potenza,
- morto in atto.
(Già che c'ero, ne ho introdotto un quarto: quello del "morto in potenza", così ho sistemato anche situazioni come quella della Englaro e di Welby.)
Ovviamente limitarsi a classificare questi stati non porta a niente. E' necessario stabilire che ad ogni stato si attribuiscono diritti umani fondamentali specifici. Pieni diritti, chiaramente, si assegnano solo allo stato 2. Negli altri stati non si gode a pieno titolo dei "Diritti dell'Uomo". Tutto bene? Mah, io già metterei i paletti prima di questo punto: a mio parere gli stati sono solo 2. Per molti, però (credo in larghissima parte per coloro i quali non sono usi pensare a queste cose e si lasciano influenzare da correnti di pensiero dominanti), questa impostazione è plausibile, tanto che la ripartizione negli stati 1, 2 e 4 è ormai riconosciuta in quasi tutto il mondo, e vari Paesi riconoscono che lo stato 3 non dà diritto di godere dei pieni diritti (qualcun altro ha titolo per decidere se la propria vita possa continuare o meno).
Ho la sensazione che però sia evidente a tutti quale incoerenza, quali rischi si corrano accettando questa impostazione. I passaggi di stato da 1 a 2 e da 2 a 3, infatti, non sono quasi mai netti e chiari. Provate a dire a qualunque madre sana di mente al 6° mese che suo figlio non è davvero vivo, è solo vivo "in potenza" e poi mi raccontate cosa vi risponderà. Se la madre non è una delle purtroppo troppe donne irriflessive che circolano, la stessa reazione l'avrà molto prima del 6° mese. Se è una donna intelligente, quella reazione l'avrà dall'inizio della gravidanza.
Per essere pienamente coerenti, oltretutto, credo che i paladini delle divisioni di stato (dove ad ogni stato corrispondono diritti umani di base differenti) dovrebbero introdurne un quinto:
- vivo in potenza,
- vivo in atto,
- vivo in atto ma handicappato,
- morto in potenza,
- morto in atto.
Non è purtroppo solo l'ipotesi di un'utopia negativa (o distopia, come va di moda dire oggi). Da qualche parte s'è fatto. Spero non ci sia bisogno di commentare.
venerdì 12 settembre 2008
E’ tutto già scritto, e da un pezzo!
Un bel gioco, non c’è che dire, che allena muscoli del cervello diversi da quelli che teniamo in forma giocando al divertente Lumines (evoluzione del vecchio Tetris), scrivendo un algoritmo in SQL e C# per comparare i ricavi nel tempo prodotto per prodotto tenendo conto dei costi delle materie prime e del fatturato, oppure ascoltandoci il concerto per violino di Brahms trasmesso da radioio (tutte cose – non le uniche! – che mi hanno dilettato nelle ultime 24 ore).
Basta essere consapevoli che certi esercizi restano solo giochetti mentali. L’etica può avere tutti i fondamenti che vogliamo, ma se auspichiamo una società in cui si stia bene, in cui la maggior parte possibile di persone sia contenta di svegliarsi alla mattina, non c’è scampo. C’è solo un appiglio, un basamento su cui edificarla. Un libro completato un paio di migliaia di anni fa. C’è già dentro tutto lì. Tutto il resto sono giochetti. Fa sorridere quando qualcuno li prende sul serio. Quando a prenderli sul serio sono in tanti, puntualmente prima o poi si arriva al dramma.
E non si scappa: se non si accetta l’idea che da lassù il Creatore ci ha dato il manuale di istruzioni, non può che essere tutto eticamente lecito: chiunque (piccola o grande mente che sia) può dire quello che gli pare (la sua “verità”) e pretendere di avere ragione. Con spettacolari (e sempre incongruenti) arrampicate sugli specchi quando si illude seriamente che possano esserci altre vie praticabili alla giustizia.
mercoledì 20 agosto 2008
Tromboni autoreferenziali
Quando poi nelle mie navigazioni notturne sono incappato in questo scoglio
mi si è alleggerita un po' la coscienza.
Leggete un po' come viene presentato questo testo dall'autore:
Nell'amministrare la giustizia conta la legge scritta. Se facessimo delle deroghe al codice, non saremmo ingiusti? Diciamo che la giustizia deve essere uguale per tutti, ma forse non abbiamo mai riflettuto sul significato di questo principio: la legge per essere giusta deve essere applicata senza eccezioni. Ma la legge scritta dai parlamenti può contemplare ogni singolo caso umano? La legge è una macchina impersonale, che non guarda in faccia a nessuno. Eppure, per altro verso, proprio il fatto che la legge non guarda in faccia a nessuno, ci protegge dai soprusi dei potenti. La bilancia, come immagine della giustizia, rappresenta proprio questo: gli uomini sono tutti uguali di fronte alla legge.
La mia convinzione profonda è che in uno stato di diritto e in uno stato in cui tutti partecipano, anche se indirettamente, alla gestione della cosa pubblica e in cui esistono delle strade per modificare le regole che si ritengono ingiuste, le regole esistenti vanno osservate e basta. Ma è anche necessario fare una specie di gerarchia delle regole, perché ci sono delle regole che hanno un rilievo particolarissimo, un rilievo eccezionale per la convivenza e ci sono altre regole che invece hanno un rilievo molto più limitato.
Wow! Ammetto di essere prevenuto verso Colombo ed il famoso pool di Milano. Ma che dire di fronte a questo capolavoro? Iniziamo dalla foto in copertina. Mi chiedo se questi "intellettuali" che sia atteggiano a pensatori di Rodin sulle copertine siano una piaga tipicamente italiana o il virus sia diffuso globalmente. Ma andiamo oltre. Come non vedere la tragicità delle sue parole? Prima pretende di farci passare la giustizia come qualcosa di asettico, l'applicazione acefala delle norme stabilite da altri (quasi che fosse anche lontanamente ipotizzabile applicare la giustizia senza interpretare quelle norme caso per caso a discrezione del magistrato giudicante). Poi si contraddice vistosamente dicendoci che sì, le regole vanno applicate "e basta", ma non tutte hanno lo stesso valore. Forse bisognerebbe mettersi i guanti di lattice e prenderlo in mano, questo libro, per capire se il nostro pensatore arriva ad arrogarsi l'autorità di essere colui che stabilisce quali siano le regole di "rilievo eccezionale" e quali invece quelle che sì, contano, ma in fondo non tanto. Ci sarebbe anche da discutere sull'idea che, se qualche norma non va, tanto ci sono gli strumenti democratici per cambiarla, ma lasciamo perdere.
Purtroppo la mia colossale autoreferenzialità si spinge al punto da farmi frequentare poco la saggistica. Appena prendo in mano un testo già sono pieno di obiezioni. Non è una cosa che mi faccia piacere, intendiamoci. Credo che questa repulsione dipenda dal panorama librario italiano, che costringe a cercare le cose interessanti nelle pieghe dei cataloghi, perché in primo piano ci sommerge di capolavori del genere sopra copiato. Oggi, per esempio, BOL spara nelle prime posizioni altre cose che avrei schifo solo a toccare:
- Michele Serra, Brevario comico
- Umberto Galimberti, L'ospite inquietante
- Serge Latouche, La scommessa della decrescita
- Gomez/Lillo/Travaglio, Bavaglio [e scusate se questo titolo di per sé mi fa morire!]
Sì, lo sforzo per andare oltre forse non sarebbe grande, ma la pigrizia...