martedì 2 settembre 2008

Hawking, il futuro dell'umanità e gli extraterrestri

Hawking non è mai banale. Decenni di scientismo ci hanno portato all'idea che deve esserci per forza altra vita nell'Universo.
In effetti numeri non possono che lasciarci con un senso di umiltà. Non possiamo nemmeno immaginarli. La scienza dice cento miliardi di galassie fatte ognuna di un centinaio di miliardi di stelle. Una stima di diecimila miliardi di miliardi di pianeti (10^22), i dati recenti dicono un po' di più. Chi può immaginare un numero simile? Diamo a questo numero 15 miliardi di anni per farvi cozzare atomi e molecole, vuoi che noi, che abitiamo nella periferia di un braccio di una di questi miliardi di galassie, siamo l'unica forma di vita intelligente? Questa, quella di Carl Sagan, è la tipica impostazione del ragionamento che ci è stato presentato dalla scienza. Finora.

In seguito a questa logica sono state spese ingenti risorse per cercare altre forme di vita. Sono stati dedicati radiotelescopi, e sono state mandate sonde contenenti informazioni sulla nostra razza, ad uso di eventuali altre civiltà cui giungessero queste sonde. Quanto saggiamente non si sa: carina è la battuta del Doctor Who (nuova serie 2, primo episodio) che ci dà degli incoscienti per tutto il baccano che facciamo nell'Universo cercando di farci notare, cercandoci rogne visto non abbiamo alcuna idea delle intenzioni che potrebbe avere una eventuale razza aliena che ci notasse.

Su tutto questo campa non solo il Doctor Who, ma tutta la fantascienza. Quella più alla buona è ovviamente quella cinematografica/televisiva. Hawking prende due paradigmi: quello positivo di E.T. e quello terrificante di Independance Day. Il suo ragionamento è il seguente: la razza umana esiste da circa 2 milioni di anni sui 15 miliardi dell'Universo. Una frazione minuscola. L'evoluzione della nostra razza è stata rapidissima (almeno negli ultimi 6-8000 anni, da quando abbiamo inventato la scrittura e dunque il passaggio delle informazioni tra le generazioni con una rapidità infinitamente superiore a quella delle mutazioni del DNA). Possiamo ipotizzare che, vista la rapidità del progresso tecnologico, tra un centinaio o poche centinaia di anni (oltre ad aver riprogettato il nostro DNA - cosa che trova inevitabile nonostante sia temibile) saremo in grado di muoverci tra i pianeti e le stelle. Se incontrassimo una razza aliena, la probabilità di incontrarla in uno stadio evolutivo analogo al nostro è trascurabile. Dunque, o li incontreremo in uno stadio molto più evoluto del nostro, oppure in uno stadio primordiale. Ma se li incontrassimo in uno stadio molto più evoluto, perché mai questi non si sarebbero mossi prima di noi venendoci a trovare? E per fortuna, poiché essendo loro molto più evoluti di noi probabilmente ci considererebbero come noi consideriamo insetti e lombrichi, rendendo più plausibile lo scenario di Independance Day che quello di E.T..

Cito testualmente:
Una spiegazione più plausibile [rispetto all'idea che ci siano alieni più evoluti che ci conoscono ed abbiano deciso di lasciarci cuocere nel nostro brodo primordiale ignorandoci] è che vi siano scarsissime probabilità che la vita si sviluppi su altri pianeti o che, una volta sviluppatasi, diventi intelligente. Poiché ci definiamo intelligenti [...], noi tendiamo a considerare l'intelligenza una conseguenza inevitabile dell'evoluzione, invece è discutibile che sia così: non è chiaro se abbia molto valore di sopravvivenza. I batteri se la cavano benissimo senza e ci sopravviveranno se la nostra cosiddetta intelligenza ci indurrà ad autodistruggerci in una guerra nucleare. Perciò, quando esploreremo la galassia, troveremo forse forme di vita primitive, ma è improbabile che incontreremo esseri come noi.
Lo scenario futuro non somiglierà a quello consolante dipinto da Star Trek, di un universo popolato da molte specie umanoidi, con una scienza e una tecnologia avanzate ma fondamentalmente statiche. Credo invece che saremo soli e che incrementeremo molto, e molto in fretta, le complessità biologica ed elettronica. Pochi dei progressi futuri si registreranno entro un secolo, e questa è l'unica previsione attendibile che possiamo fare. Ma verso la fine del prossimo millennio, se mai vi arriveremo, la differenza rispetto a Star Trek sarà grandissima.
[L'universo in un guscio di noce, 2001 - Cap. VI, "Il nostro futuro: Star Trek o no?"]

Possiamo leggerlo come un ritorno della scienza all'antropocentrismo?

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Più che altro Hawkings sta citando il paradosso di Fermi e l'equazione di Drake.

Questo cmq è il problema centrale di tutta l'eso-biologia

Ombrone

davidthegray ha detto...

Benvenuto Ombrone. Non conoscevo gli argomenti che citi. Mi pare comunque che ci sia qualche spunto originale: per esempio l'idea che la vita intelligente sia poco competitiva dal punto di vista evolutivo (che manda a mare tanto darwinismo). In realtà è ragionevolissimo pensare che se anche ci fossero civiltà evolutissime ma lontane, non avrebbero avuto il tempo per raggiungerci di persona o attraverso comunicazioni. Anche ipotizzando una civiltà per galassia, ci troveremmo con cento miliardi di civiltà. Se pure ce ne fossero parecchie per galassia, potrebbero essere così sparse da non avere ancora avuto modo di incrociarsi (mentre magari fra 1 milione di anni se ne potrà riparlare). Di fatto credere nell'esistenza di altre civiltà è un puro atto di fede (per razionale che sia) e gli argomenti a favore e contro mi pare siano parimenti degne. C'è spazio per un nuovo antropocentrismo. Non che l'ipotesi dell'esistenza di altre razze mi crei problemi, ma la consapevolezza che la nostra razza potrebbe essere unica (e quindi infinitamente preziosa) potrebbe illuminare qualche mente.

Anonimo ha detto...

Mi chiedo cosa sia più minaccioso per l' antropocentrismo: la superiorità evolutiva dei batteri o ET?

Bisognerebbe partire dalle definizioni ma è noioso.

Dirò solo che la superiorita evolutiva dei batteri non sembra rilevante (la sopravvivenza non è un valore preminente).

Se invece comparisse un ET nascerebbero molti incasinatissimi (e interessantissimi) problemi: un cattolico concederebbe ad ET di abortire? E in base a cosa prenderebbe la sua decisione? Parlo di ET ma le sfumature sono innumerevoli.

Congettura pessimista: forse mischiarci agli extraterrestri renderà più facile (perchè inevitabile) accettare delle discriminazioni. A quel punto, rotta la diga, si troverà utile introdurre discriminazioni anche tra gli uomini.

davidthegray ha detto...

In realtà non si dice che i batteri siano più evoluti. Solo che sono probabilmente più adatti. Più "fit".

Tutto quanto ho scritto sopra è "etsi Deus non daretur". Un po' la "settimana enigmistica" che fai tu di là. Ma forse il tema può anche essere affrontato seriamente, quindi coivolgendo la questione religiosa.

Ignoro se esista una pastorale ufficiale della Chiesa sul tema, se ci fosse mi rimetterei ovviamente ad essa. Altrimenti, questo è il mio pensiero:

Perché mai Dio avrebbe dovuto costruire un simile ambaradan di universo, con un numero inimmaginabile di galassie ciascuna contenente un numero inimmaginabile di stelle solo per far abitare un pianetino sperduto alla razza umana? Tre risposte possibili:

1) Perché magari tra 100 anni avremo colonizzato qualche pianeta di stelle vicine, e tra 1 milione di anni l'intera galassia, e tra 100 milioni di anni l'intero universo. (visione antropocentrica)

2) Ma chi l'ha detto che Dio ha creato solo la razza umana a sua immagine e somiglianza? Magari c'è una razza per galassia, magari molte di più. Se così fosse, può darsi che ognuna abbia avuto il suo percorso di Salvezza, ed ognuna sia destinata alla palingenesi al cospetto dell'Onnipotente, oppure che Dio sia entrato nella Storia solo sul nostro pianeta e noi siamo destinati a diffondere l'Evangelium, la buona novella, anche alle razze aliene come facciamo con i popoli della Terra non cristiani.

3) E chi lo sa? Può essere che Dio abbia altre ragioni note solo a lui.

In tutti i casi, credo che il criterio guida su come comportarsi sia poi difficile da stabilire se non trovandosi di fronte alla situazione specifica. Non abbiamo problemi nel capire se una specie è intelligente oppure no, mi pare. Dato che, se non sbaglio, quello che rende noi "immagine e somiglianza" di Dio è la ragione, se incontrassimo altri esseri razionali dovremmo ritenere anch'essi immagine di Dio, dunque estendere ad essi il concetto di "persone". Le persone godono delle tutele e degli obblighi dei 10 comandamenti e dunque non si uccidono. Ergo, niente aborto nemmeno per loro. Ovviamente potremmo trovarci davanti ad esseri dalla biologia completamente diversa dalla nostra. Magari non basata sul carbonio, magari composti principalmente da metano anziché acqua. Magari il loro meccanismo riproduttivo sarà completamente diverso. Come dice Hawking, se anche avessero meccanismi biologici analoghi ai nostri ben difficilmente saranno al nostro stesso stadio evolutivo. Magari saranno avanti di 500 milioni di anni.

Non capisco bene però perché tiri in ballo la questione discriminazioni.

broncobilly ha detto...

"... in realtà non si dice che i batteri siano più evoluti. Solo che sono probabilmente più adatti. Più "fit"...."

... ma se l' evoluzione tende all' adattamento dobbiamo concludere che la loro evoluzione ha avuto più "successo".

"... le persone godono delle tutele e degli obblighi dei 10 comandamenti... ergo, anche loro..."

Ma io mi chiedo come faremo a classificare l' umanoide come persona. Potremmo incontrarne di 10 tipi diversi con 10 sfumature diverse, dove comincia la persona?

"... non capisco bene però perché tiri in ballo la questione discriminazioni..."

Le nostre regole "discriminano" gli animali (e l' aborto praticato sugli animali), è ovvio, sono "diversi da noi". L' umanoide ipotetico A che si colloca a metà tra l' uomo e l' animale richiederebbe una discriminazione (leggi che valgono solo per lui). L' umanoide B che si colloca a meta tra A e noi richiede una discriminazione. L' umanoide che ha intelligenza molto superiore alla nostra richiederà forse un' ulteriore discriminazione. La discriminazione sarà la norma. ciao.

Interessante però la questione della Pastorale. Se trovi qualcosa tienimi aggiornato.

davidthegray ha detto...

Infatti, il problema del "dove comincia la persona" è centrale affrontando questo tema. Io una proposta l'ho fatta nel punto 2: l'intelligenza è ciò che fa dell'uomo immagine e somiglianza di Dio. Pertanto l'intelligenza dovrebbe essere il discrimine. Questa è ovviamente un po' una semplificazione che nasconde una serie di problemi: come si valuta l'intelligenza innanzitutto. Sempre semplificando, la definiamo "consapevolezza di sé". Ovviamente a livello di specie, dato che un embrione umano o una persona in coma sono persone a tutti gli effetti in quanto individui della specie umana.

Tutto questo è, ripeto alla noia, una semplificazione. In termini teologici, ovviamente, non è l'intelligenza il discrimine, ma il possesso dell'anima. Il segno del possesso dell'anima per me è appunto l'autocoscienza della specie, ma parlo per me. Altrimenti non ho idea quale potrebbe essere il mezzo per stabilire se una specie aliena abbia o meno l'anima.

Non ho idea di quale sia la pastorale della Chiesa sulla materia, sempre che abbia avuto un po' di tempo da dedicare a questo gioco. Di certo la Chiesa decreta che il momento in cui nell'evoluzione delle specie l'uomo diventa dotato di anima. C'è un interessantissimo e magnificamente scritto documento in rete, Nonoverlapping Magisteria, dove si affrontano un sacco di questioni che coinvolgono i temi che ci stanno a cuore, tra cui principalmente i ruoli ed il rapporto tra scienza e fede. Immagino che tu lo conosca già ma se così non fosse il tempo che gli dedicherai ti garantisco che sarà ben speso. Vi si tocca tra l'altro la questione evoluzionismo ed inizio della specie umana. Non so se lo conosci, ma questo documento dovrebbe essere stampato a lettere di fuoco sulla pelle di certi anticlericali che conosciamo bene.

Sui batteri: la questione è puramente terminologica. Con "più evoluti" non intendo "più adatti all'ambiente". Questo lo potrebbe dire solo un darwinista. Non è detto che l'evoluzione proceda solo in termini di adattamento all'ambiente. Altrimenti il paradosso di Hawking potrebbe stare in piedi. In realtà è un paradosso: quando dice che l'intelligenza potrebbe essere un disastro in termini di adattamento ambientale si riferisce a scenari quali una terza guerra mondiale oppure, chissà, la creazione di un buco nero in quel di Ginevra...

Anonimo ha detto...

Sono d' accordo con te per quanto riguarda il criterio dell' intelligenza (la chiamerei ragione). I mezzi per misurarla in modo soddisfacente penso che ci siano all' incirca. Cio' non toglie che potremmo incontrare delle gradazioni.

Così come i bambini sono "discriminati" e hanno leggi che riguardano solo loro, potremmo avere più ordinamenti ciascuno dedicato ad una tipologia di umanoide o animaloide. Se la "discriminazione" diverrà la regola e funzionerà, potrà (rischio) più facilmente essere introdotta anche tra gli uomini (in fondo non siamo così uguali come ci piace pensare).

BATTERI. Bè sì, basta intendersi. Penso che H. parli da scienziato, quindi in termini darwiniani, in quel senso il suo non sarebbe un paradosso (d' altronde la storia dei batteri era usata anche da Gould per negare il concetto di "progresso evolutivo"): i "geni egoisti" (uso la famosa metafora)che hanno costruito i batteri per sopravvivere se la potrebbero cavare meglio dei "geni egoisti" che hanno costruito noi, per quanto il lavoro di questi ultimi possa ritenersi più "sofisticato". Sembra strano ma la vita opera in un ambiente aperto, non varrebbero dunque le leggi dell' entropia; complessità e specializzazione non significano automaticamente progresso. C' è anche un' altra spiegazione, di solito chiamata "path dependency". I geni egoisti che hanno finito per costruire il robot umano, hanno semplicemente "sbagliato strada" all' inizio senza possibilità di tornare indietro e cambiare il loro "path". Per poter proseguire limitando i danni sono dovuti ricorrere a dei veri "virtuosismi" evolutivi fino a creare una macchina complessissima pur di avere qualche speranza di sopravvivere. Cio' non significa che abbiano più speranza di quei geni che hanno scelto il path migliore sin da subito (quello batterico). Naturalmente parlo in termini darwiniani, alla dawkins, quello è un mondo dove esiste un unico obiettivo: sopravvivere.

Non conoscevo il documento da te linkato, appena avrò tempo darò una lettura. Ciao.

davidthegray ha detto...

Ric, spero che tu abbia avuto modo di leggere il documento di S. J. Gould. Sulla questione evoluzione/entropia avevamo discusso memorabilmente anni fa su fahre. Non so ancora che risposta ci sia da parte della scienza a quell'obiezione, anche se effettivamente - come dicevi - i numeri in gioco sono talmente enormi da lasciare poco spazio all'immaginazione (non sono immaginabili!).

Quanto alle posizioni della Chiesa sul tema, mi sono imbattuto in questo articolo. Mi pare molto ragionevole.